TRIBUNALE DI SALERNO 
                           Sezione feriale 
 
    Il Tribunale di  Salerno,  Sezione  feriale,  nella  persona  del
Giudice assegnatario del ricorso ex  art.  700  codice  di  procedura
civile  dott.  Mattia  Caputo,  all'esito  della  riserva   formulata
all'udienza del 22 agosto 2019 e ha pronunciato la seguente ordinanza
nella causa iscritta al N.R.G. 5626/2019, avente ad oggetto:  ricorso
d'urgenza ex art. 700 codice di procedura civile, tra F. D., nato  in
... il ..., dimorante in ... alla Via ... presso  la  struttura  ...,
rappresentato e difeso, giusta mandato in calce al ricorso, dall'avv.
Gianluca De Vincentis, presso il cui studio sito in Telese Terme (BN)
alla Via Roma n, 85, elettivamente domicilia, ricorrente; 
    e Comune di ... (c.f. ... ), in persona del sindaco pro  tempore,
rappresentato e difeso, giusta procura  in  calce  alla  comparsa  di
costituzione e risposta, dagli  avv.ti  Emilio  Grimaldi  e  Raffaele
Carpinelli, con i quali elettivamente  domicilia  in  ...  alla  sede
comunale di Via Vittorio Emanuele n. 1, resistente. 
Conclusioni delle parti 
    All'udienza del 22 agosto 2019 le parti si riportavano ai  propri
scritti difensivi, insistendo per l'accoglimento delle conclusioni in
essi contenute ed il Giudice si riservava. 
    All'esito della Camera di consiglio il ricorso  puo'  ora  essere
deciso. 
 
                       Motivi della decisione 
 
1. Il ricorso introduttivo. 
    Con ricorso depositato il  30  maggio  2019  il  sig.  F.  D.  ha
dedotto: che dimorerebbe da piu' di tre mesi a ... presso  il  centro
..., come risultante da autocertificazione allegata al  ricorso,  che
sarebbe titolare del  permesso  di  soggiorno  per  richiesta  asilo,
rilasciato dalla Questura di Salerno il 16 ottobre 2018 e che sarebbe
regolarmente soggiornante in Italia; che in data 15  aprile  2019  si
sarebbe presentato presso l'Ufficio anagrafe del Comune  di  ...  per
formalizzare la sua domanda di iscrizione  nell'anagrafe  del  comune
ove dimora; che il responsabile dell'Ufficio demografico gli  avrebbe
comunicato di non poter accettare la richiesta ai sensi dell'art.  13
del decreto-legge n. 113 del 4 ottobre 2018 («Disposizioni urgenti in
materia  di  protezione  internazionale  e  immigrazione,   sicurezza
pubblica,  nonche'  misure  per  la   funzionalita'   del   Ministero
dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
nazionale  per  l'amministrazione  e   la   destinazione   dei   beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata», anche  detto
«Decreto Sicurezza»), poiche' il permesso di soggiorno per  richiesta
asilo non costituirebbe un valido titolo per procedere all'iscrizione
anagrafica; che il diniego alla richiesta di iscrizione nei  registri
dell'anagrafe sarebbe avvenuta alla presenza di una serie di persone;
che con nota  a  mezzo  pec  del  9  maggio  2019  il  difensore  del
ricorrente, nell'evidenziare l'illegittimo comportamento  tenuto  dal
funzionario comunale, avrebbe invitato e diffidato il  Comune  ...  a
procedere, nel termine perentorio di sette giorni, all'iscrizione del
sig. F. D. nel registro anagrafico  della  popolazione  residente  in
...; che poiche' il Comune non avrebbe provveduto a dare esecuzione a
tale  diffida,  egli  si  vedrebbe  costretto  ad  adire  l'Autorita'
giudiziaria ordinaria in via d'urgenza, anche in  considerazione  del
rischio, attuale ed evidente, di  una  grave  compressione  dei  suoi
diritti  costituzionalmente  garantiti;  che  nel  caso   di   specie
sussisterebbe la giurisdizione del Giudice ordinario,  poiche'  nelle
controversie in materia di  iscrizione  anagrafica  l'Amministrazione
comunale non eserciterebbe alcun potere di  carattere  discrezionale,
essendo l'iscrizione e la cancellazione  anagrafica  atti  dovuti  in
presenza dei presupposti di legge,  rispetto  ai  quali  la  pubblica
amministrazione sarebbe munita di un  potere  di  mero  accertamento;
che, dunque, tali controversie  avrebbero  ad  oggetto  posizioni  di
diritto soggettivo e non di interesse legittimo; che il decreto-legge
n. 113 del 2018, entrato in vigore il 5 ottobre 2018, convertito  poi
in legge n. 132/2018, pur avendo recato significative modifiche  alla
condizione  giuridica  del  richiedente   il   riconoscimento   della
protezione internazionale, non avrebbe  previsto  alcuna  preclusione
all'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo,  incidendo  soltanto
sulla procedura  semplificata  di  cui  all'art.  5-bis  del  decreto
legislativo n. 142/2015 (c.d. «Decreto Minniti»), che  sarebbe  stata
abrogata implicitamente; che l'art. 13 del decreto-legge n.  113/2018
avrebbe aggiunto, tra l'altro, all'art. 4 del decreto legislativo  n.
142/2015 il nuovo comma 1-bis, che testualmente recita: «Il  permesso
di  soggiorno  di  cui  al  comma  1  non  costituisce   titolo   per
l'iscrizione anagrafica ai sensi del Presidente della  Repubblica  30
maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto  legislativo
25 luglio 1998, n. 286»; che da una prima analisi della  nuova  norma
emergerebbe come essa non  conterrebbe  alcun  divieto  esplicito  di
iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo, ma si limiterebbe solo
ad escludere che la particolare tipologia del permesso di  soggiorno,
motivata sulla richiesta di asilo, possa costituire  documento  utile
per la formalizzazione della  domanda  di  residenza;  che,  infatti,
l'art. 13 del decreto-legge n. 113/2018  richiamerebbe  espressamente
il  «Nuovo  Regolamento  anagrafico  della   popolazione   residente»
(Decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 30  maggio  1989)
ed  al  «Testo  unico  Immigrazione»  (art.  6,  comma   7,   decreto
legislativo  n.  286/1998),  le  cui  norme   non   richiedono,   ne'
richiamano,   «titoli   per   l'iscrizione    anagrafica»,    perche'
nell'ordinamento italiano non vi  sarebbero  situazioni  di  fatto  o
titolarita'  di  documenti  costituenti  «titolo»  per   l'iscrizione
anagrafica  nei  registri  della  popolazione  residente;   che,   in
particolare,  l'iscrizione   anagrafica   sarebbe   l'esito   di   un
procedimento amministrativo ben descritto nel «Regolamento anagrafico
della popolazione residente»,  che  all'art.  13  evidenzierebbe  che
l'iscrizione  anagrafica  non  avviene  in  base  a  «titoli»,  ma  a
«dichiarazioni degli interessati», «accertamenti  di  ufficio»  (art.
15), ad accertamenti di ufficio in caso di omessa dichiarazione delle
parti ed accertamenti sulle dichiarazioni  rese  e  ripristino  delle
posizioni anagrafiche precedenti (art. 18-bis) e «comunicazioni degli
ufficiali di stato civile» (art. 19); che, dunque,  la  registrazione
anagrafica  registrerebbe  la  volonta'  delle  persone,  italiane  o
straniere, le quali  avendo  una  dimora,  avrebbero  fissato  in  un
determinato comune  la  propria  residenza  oppure,  non  avendo  una
dimora, avrebbero stabilito nello stesso comune il proprio domicilio;
che  l'art.  6,  comma  7,  del  decreto  legislativo   n.   286/1998
escluderebbe  la  possibilita'  che  si  possa  negare   l'iscrizione
anagrafica ad uno straniero regolarmente soggiornante, ospitato in un
centro di accoglienza, prevedendo che  «Le  iscrizioni  e  variazioni
anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate
alle medesime condizioni dei  cittadini  italiani  con  le  modalita'
previste dal regolamento di attuazione. In ogni caso la dimora  dello
straniero  si  considera  abituale  anche  in  caso  di   documentata
ospitalita' da piu' di tre mesi  presso  un  centro  di  accoglienza.
Dell'avvenuta iscrizione o  variazione  l'ufficio  da'  comunicazione
alla  questura  territorialmente  competente»;  che,   pertanto,   il
cittadino  italiano  e  lo   straniero,   ai   fini   dell'iscrizione
anagrafica, si troverebbero sullo stesso  piano,  dovendo  dimostrare
chi chiede l'iscrizione l'elemento oggettivo della stabile permanenza
in un luogo e l'elemento soggettivo della volonta' di rimanervi; che,
quindi, lo straniero in aggiunta a tali elementi dovrebbe  dimostrare
solo  di  essere  regolarmente  soggiornante  in   Italia,   con   la
conseguenza che il permesso di soggiorno non sarebbe mai stato titolo
per l'iscrizione stessa, rilevando solo ai fini della regolarita' del
soggiorno; che per la giurisprudenza consolidata (Cass. Civ.,  SS.UU.
n. 499/2000) l'iscrizione anagrafica si configurerebbe quale  diritto
soggettivo con corrispondente obbligo  dell'Amministrazione  comunale
di  darvi  corso,  senza  alcun  potere  discrezionale  ma  di   mero
accertamento; che ai sensi  dell'art.  2  della  legge  n.  1228/1954
l'iscrizione anagrafica costituirebbe un vero e  proprio  dovere  per
ciascun  individuo   regolarmente   soggiornate,   il   cui   mancato
adempimento   sarebbe   espressamente   sanzionato   penalmente   dal
successivo art. 11 della  medesima  legge;  che  occorrerebbe  allora
interrogarsi sulla reale portata della modifica  che  l'art.  13  del
decreto-legge n. 113/2018 avrebbe  apportato  mediante  l'inserimento
del comma 1-bis nel corpo dell'art.  4  del  decreto  legislativo  n.
142/2015; che per comprendere la reale  portata  di  questa  aggiunta
normativa bisognerebbe considerare che  il  menzionato  art.  13  del
decreto-legge n. 113/2018 ha abrogato la previsione dell'utilizzo per
i  richiedenti  asilo  dell'istituto  della   convivenza   anagrafica
contenuta nell'art. 5-bis del decreto-legge n.  142/2015,  introdotto
con  la  legge  n.  46/2017  che  ha  convertito  a  sua   volta   il
decreto-legge n. 13 del 17 febbraio 2017, cosi' abolendo,  di  fatto,
la c.d. «procedura semplificata» prevista da tale norma;  che  l'art.
5-bis del decreto legislativo  n.  142/2015,  ora  abrogata,  avrebbe
stabilito: «1. Il richiedente protezione internazionale ospitato  nei
centri di cui agli articoli 9, 11  e  14  e'  iscritto  nell'anagrafe
della popolazione residente ai sensi dell'art. 5 del  regolamento  di
cui al decreto del Presidente della Repubblica  30  maggio  1989,  n.
223, ove  non  iscritto  individualmente.  2.  E'  fatto  obbligo  al
responsabile della convivenza di dare comunicazione della  variazione
della convivenza al competente ufficio di anagrafe entro venti giorni
dalla data in cui si sono verificati i fatti»; che, quindi, in base a
tale disposizione, sarebbe stato introdotto un regime  di  iscrizione
anagrafica c.d. «semplificata», basata sulla  semplice  dichiarazione
del responsabile del centro ed in  deroga  al  termine  di  tre  mesi
previsti dal Testo unico Immigrazione;  che,  dunque,  mentre  l'art.
5-bis del decreto legislativo  n.  142/2015,  ora  abrogato,  avrebbe
previsto un automatismo nell'iscrizione anagrafica, sganciandola  sia
dalla   dichiarazione   dell'interessato   sia   dagli   accertamenti
dell'ufficiale   dell'anagrafe   -   basandosi   cosi'   solo   sulla
comunicazione del responsabile del  centro,  il  nuovo  art.  13  del
decreto-legge  n.  113/2018  avrebbe  inteso  soltanto  abolire  tale
automatismo, chiarendo che non vi  sarebbe  una  speciale  iscrizione
all'anagrafe  dei  residenti  per  i  richiedenti  asilo  basata  sul
«titolo»  della  domanda  di  protezione  e  dell'inserimento   nella
struttura di accoglienza; che,  del  resto,  laddove  il  legislatore
avesse  voluto  introdurre  un  esplicito   divieto   di   iscrizione
anagrafica per lo straniero  con  permesso  di  soggiorno  per  asilo
richiesto, per coerenza sistematica avrebbe dovuto modificare  l'art.
6, comma 7, del decreto legislativo  n.  286/1998,  che  equipara  le
modalita'  di  iscrizione  anagrafica  degli  stranieri  regolarmente
soggiornanti ai cittadini italiani, prevedendo un'esplicita eccezione
per  i   richiedenti   asilo;   che,   inoltre,   qualsiasi   diversa
interpretazione  andrebbe  a  pregiudicare  i  diritti   fondamentali
dell'uomo, affermati e riconosciuti  a  livello  costituzionale;  che
nell'ordinamento giuridico italiano la nozione e  la  disciplina  del
diritto alla residenza sarebbe contenuta nella Costituzione (articoli
2, 3, 14, 16 e 32) e nel Codice civile (articoli 43 e  ss.),  nonche'
nella legislazione speciale (art.  223  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica n. 223 del 30 maggio 1989); che, dunque,  in  virtu'
del principio di gerarchia delle fonti occorre  partire  dalle  norme
costituzionali, che riconoscerebbero il diritto alla  residenza  come
un diritto soggettivo e, di  conseguenza,  attribuirebbero  anche  al
diritto all'iscrizione anagrafica consistenza di diritto  soggettivo;
che il diritto all'iscrizione anagrafica (e, dunque, alla  residenza)
rientrerebbe nei diritti  inviolabili  dell'uomo  che  la  Repubblica
riconosce  e  garantisce   ai   sensi   dell'art.   2   della   Carta
costituzionale,  norma  strettamente  connessa   all'art.   3   della
Costituzione, ed in particolare al  rispetto  ed  all'attuazione  del
principio di uguaglianza formale e sostanziale; che anche  l'art.  16
della Costituzione tutelerebbe il diritto  all'iscrizione  anagrafica
(e, dunque, alla residenza) laddove sancisce la liberta' di circolare
e  soggiornare  liberamente  in  qualsiasi   parte   del   territorio
nazionale,   dovendosi   ritenere   che   l'espressione   «cittadino»
utilizzata dalla Carta costituzionale sia riferibile a tutti i membri
della  comunita'  dei  residenti  in  Italia,  purche'   regolarmente
soggiornanti; che la mancata iscrizione  nei  registri  dell'anagrafe
della popolazione residente comporterebbe  una  serie  di  disagi  di
notevole rilievo  per  un  cittadino,  impedendogli  l'esercizio  dei
diritti  fondamentali  che  l'ordinamento  gli  riconosce;  che,   in
particolare, la materia anagrafica sarebbe collegata ad  esigenze  di
interesse pubblico, quali l'accesso alle misure  di  politica  attiva
del lavoro (art. 11, comma 1, lettera c) del decreto  legislativo  n.
150/2015), per poter chiedere ed ottenere un numero di partita I.V.A.
(art.  35,  comma  2,  decreto  legislativo  n.  633/1972),  per   la
determinazione del valore I.S.E.E. richiesto per potere accedere alle
prestazioni sociali agevolate (art. 1, comma 125, legge n. 104/1990),
ai fini della decorrenza del termine di nove anni  per  l'ottenimento
della  cittadinanza  italiana  ex  art.  9,  comma   1-ter,   decreto
legislativo n. 286/1998, per il rilascio della patente  di  guida  ai
sensi dell'art. 118-bis del decreto legislativo n.  285/1992  (Codice
della  strada),  per  poter  procedere   all'istruzione   scolastica,
all'ottenimento di  una  concessione  commerciale  per  il  commercio
ambulante cd all'esercizio di  un  professione,  nonche'  per  potere
accedere pienamente all'assistenza sanitaria  nazionale,  poiche'  il
cittadino privo di residenza puo' accedere solo al servizio di pronto
soccorso; che da tutto quanto esposto emergerebbe come l'inerzia  del
Comune di ... avrebbe ripercussioni  gravissime  per  il  ricorrente,
privandolo di un riconoscimento che gli spetta di diritto e,  in  tal
modo, impedendogli l'esercizio di diritti fondamentali connessi  alla
residenza; che tutto cio' giustificherebbe  il  ricorso  alla  tutela
cautelare d'urgenza; che, del resto, non vi sarebbero altri strumenti
cautelari tipici che consentirebbero nella fattispecie  concreta,  la
specifica tutela richiesta; che il ricorrente avrebbe  intenzione  di
promuovere innanzi all'Autorita' giudiziaria adita un giudizio  volto
ad accertare il comportamento ostruzionistico  posto  in  essere  dal
Comune atto ad  impedire  l'iscrizione  anagrafica,  con  conseguente
condanna dello stesso alla cessazione di tale  illegittima  condotta;
che vi sarebbe altresi' il «fumus boni iuris», inteso  come  presenza
di elementi che,  ad  una  cognizione  sommaria,  fondano  l'opinione
positiva circa l'esistenza e la tutelabilita' del  diritto  azionato;
che  ricorrerebbe  anche  il  requisito  del  «periculum  in   mora»,
integrato dall'imminenza di un pregiudizio grave ed irreparabile  che
puo' compromettere  notevolmente  il  diritto  azionato  nel  periodo
necessario a farlo valere in via ordinaria. 
    In virtu' di  quanto  innanzi  esposto  F.  D.  ha  formulato  le
seguenti  conclusioni:  con  decreto  «inaudita   altera   parte»   e
contestuale fissazione di udienza di comparizione nel termine di  cui
all'art. 669-sexies, comma 2, codice di procedura civile, ovvero  con
ordinanza, previa convocazione delle parti  in  apposita  udienza  ai
sensi dell'art. 669-sexies, comma 1, codice di procedura  civile,  al
fine di emettere i  provvedimenti  che  appariranno  piu'  idonei  ad
assicurare provvisoriamente gli effetti della  decisione  di  merito;
ordinare al Sindaco del  Comune  ...  anche  nella  sua  qualita'  di
ufficiale di governo responsabile della  tenuta  dei  registri  dello
stato civile e di popolazione, previo accertamento del  diritto  alla
residenza del ricorrente, l'immediata iscrizione del  ricorrente  nel
Registro anagrafico della popolazione residente nel Comune di  ...  ;
adottare ogni altro opportuno provvedimento utile e consequenziale al
fine di impedire la lesione dei diritti fondamentali del  ricorrente;
condannare il Comune di ... al  pagamento  delle  spese  di  lite  ed
accessori di legge. 
2. La comparsa di costituzione e risposta. 
    Si e' costituito in giudizio il Comune di ..., eccependo:  che  a
fronte della diffida del difensore di parte ricorrente con cui questi
aveva  chiesto  l'iscrizione  anagrafica  di  F.  D.   nei   registri
dell'anagrafe civile del Comune, con  nota  prot.  n.  17228  del  23
maggio 2019 il responsabile dell'Area I  -  servizi  demografici  del
Comune  di  ...,  avrebbe  inoltrato  apposita  richiesta  di  parere
all'Ufficio territoriale di ... - Prefettura Area II bis - al fine di
fornire utili ed indispensabili  indicazioni  operative  inerenti  le
«Disposizioni in materia di  iscrizione  anagrafica»  ai  richiedenti
asilo internazionale; che tale richiesta sarebbe, allo stato, rimasta
inevasa; che, ad ogni modo, la circolare del  Ministero  dell'interno
n. 15/2018,  sancirebbe  che  «dall'entrata  in  vigore  delle  nuove
disposizioni il permesso di soggiorno  per  richiesta  di  protezione
internazionale  di  cui  all'art.  4,  comma  1  del  citato  decreto
legislativo  n.  142/2015,   non   potra'   consentire   l'iscrizione
anagrafica»,  e  che  la  circolare  del  Ministero  dell'interno  n.
83744/2018, prevederebbe che «ai richiedenti asilo - che peraltro non
saranno piu' iscritti nell'anagrafe dei residenti (art. 13) - vengono
dedicate le strutture di prima accoglienza  (CARA  E  CAS)»;  che  il
decreto-legge n. 113/2018 in vigore dal 5 ottobre 2018, all'art.  13,
comma 1, avrebbe apportato modificazioni al  decreto  legislativo  n.
142/2015,  incidendo  sull'iscrizione  anagrafica   dei   richiedenti
protezione internazionale; che, in particolare, la lettera a) avrebbe
modificato l'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015, prevedendo -
al  comma  1  -  che  il  permesso  di  soggiorno  ivi  disciplinato,
conseguente alla richiesta di protezione internazionale,  costituisce
documento di riconoscimento e stabilendo - nel nuovo  comma  1-bis  -
che lo stesso non costituisce titolo per l'iscrizione  anagrafica  ai
sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989,  n.
223 e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286/1998;  che
la lettera b) avrebbe  sostituito  il  comma  3  dell'art.  5  -  che
individuava nei centri o strutture di accoglienza il luogo di  dimora
abituale ai  fini  della  iscrizione  anagrafica  dei  richiedenti  -
prevedendo (alla lettera b,  n.  1)  ora  che  l'accesso  ai  servizi
previsti dal  presente  decreto  e  a  quelli  comunque  erogati  sul
territorio ai sensi delle norme vigenti sarebbe assicurato nel  luogo
di domicilio individuato ai sensi dei  commi  l  e  2  (dell'art.  5,
decreto legislativo n. 142/2015) e modificando (alla lettera b, n. 2)
il successivo comma 4, disponendo che il Prefetto possa stabilire  un
luogo di domicilio (non piu' di residenza) o un'area  geografica  ove
il richiedente puo' circolare; che la  lettera  c),  infine,  avrebbe
abrogato  l'art.  5-bis  che  aveva   riconosciuto   l'applicabilita'
dell'istituto  della   convivenza   anagrafica   all'iscrizione   dei
richiedenti  protezione  internazionale  ospitati  in  strutture   di
accoglienza.   Pertanto,   dall'entrata   in   vigore   delle   nuove
disposizioni il permesso di soggiorno  per  richiesta  di  protezione
internazionale di cui all'art. 4, comma 1 del decreto legislativo  n.
142/2015, non puo' consentire l'iscrizione  anagrafica;  che  non  vi
sarebbe il «fumus boni iuris», anche perche' non si  evincerebbe  con
chiarezza se lo stesso voglia continuare a risiedere  nel  Comune  di
...; che difetterebbe anche il requisito  del  «periculum  in  mora»,
poiche' il presupposto del danno grave ed  irreparabile  non  sarebbe
stato dimostrato dal ricorrente. 
    In virtu' di quanto innanzi esposto il Comune di ... ha formulato
le seguenti conclusioni: in  sede  cautelare,  rigettare  il  ricorso
proposto, in quanto infondato; nel merito, disattesa  ogni  contraria
istanza, deduzione od eccezione,  respingere  il  ricorso  in  quanto
infondato in fatto ed in diritto; condannare F. D. al pagamento delle
spese di lite ed accessori di legge. 
3. La giurisdizione del Giudice ordinario. 
    In via del tutto preliminare e' opportuno chiarire che  nel  caso
di specie sussiste la giurisdizione del Giudice ordinario e,  dunque,
del Tribunale adito. 
    Infatti, come chiarito dalla Corte di cassazione civile a Sezioni
unite (cfr. Cassazione civ., SS.UU. n. 449/2000) le  controversie  in
materia di iscrizione e cancellazione nei registri  anagrafici  della
popolazione coinvolgono posizioni giuridiche che hanno la consistenza
di diritto soggettivo, per le  quali,  dunque,  secondo  il  generale
criterio di  riparto  di  giurisdizione,  ha  cognizione  il  Giudice
ordinario. Come osservato dalle Sezioni  unite  civili  l'ordinamento
delle anagrafi della popolazione residente (regolato dalla  legge  n.
1228/1954 e dal regolamento di esecuzione approvato con  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 136/1958, a sua volta  sostituito  dal
decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989) costituisce  uno
strumento giuridico-amministrativo di documentazione e conoscenza  (a
carattere notiziale), predisposto sia nell'interesse  della  pubblica
amministrazione, sia dei singoli individui. Da un lato,  infatti,  vi
e' l'interesse della pubblica amministrazione ad avere una certezza -
sia pure relativa -  circa  la  composizione  ed  i  movimenti  della
popolazione che si trova sul  territorio  italiano,  dall'altro  lato
c'e' invece l'interesse dei privati  ad  ottenere  le  certificazioni
anagrafiche funzionali  e  necessarie  per  l'esercizio  dei  diritti
civili e politici che  l'ordinamento  attribuisce  loro  e,  piu'  in
generale, per provare la residenza e  lo  stato  di  famiglia.  Tutta
l'attivita'   svolta   dall'Ufficiale   dell'anagrafe    civile    e'
disciplinata dalle  norme  sopra  richiamate  in  modo  assolutamente
vincolato,  senza  che   residui   alcun   margine   o   momento   di
discrezionalita', essendo predeterminati in modo rigido i presupposti
per le iscrizioni, modificazioni e cancellazioni anagrafiche, per cui
la pubblica  amministrazione  ha  soltanto  il  potere  di  accertare
l'effettiva sussistenza in concreto dei presupposti legali.  Pertanto
la indubbia natura vincolata dell'attivita' amministrativa in  questo
ambito unitamente alla circostanza  che  la  disciplina  (primaria  e
secondaria) che regola  la  materia  anagrafica  e'  dettata  (anche)
nell'interesse della popolazione  residente  implicano  che  in  tale
ambito il privato -  cittadino  o  straniero  che  sia  -  vanti  nei
confronti  della  pubblica  amministrazione  un   autentico   diritto
soggettivo,  come  tale  devoluto  alla  giurisdizione  del   Giudice
ordinario. 
    Alla luce di quanto innanzi esposto consegue che  il  ricorso  ex
art. 700 codice di procedura civile e' stato  correttamente  proposto
innanzi a questo Tribunale. 
4. La residualita' della tutela cautelare invocata. 
    Fermo quanto innanzi esposto, va ora  verificata  la  sussistenza
del presupposto,  indefettibile  per  l'ammissibilita'  della  tutela
cautelare richiesta dal ricorrente, della «residualita'» del  ricorso
d'urgenza ex art. 700 c.p.c. 
    Il sistema normativo in materia  di  tutela  cautelare,  infatti,
individua lo strumento  rimediale  di  cui  all'art.  700  codice  di
procedura civile quale rimedio a carattere «residuale» - come  rivela
il dato letterale con cui si apre la norma, «Fuori dei casi  regolati
nelle precedenti  sezioni  di  questo  capo»  -,  dunque  ammissibile
soltanto nei casi in cui la situazione di cui il ricorrente invoca la
protezione da parte dell'ordinamento non possa  essere  salvaguardata
attraverso altri rimedi gia' prefigurati dal legislatore, tipici. 
    Nella   fattispecie   concreta   ricorre   il   requisito   della
«residualita'» della tutela invocata dalla parte ricorrente,  che  e'
stato  correttamente  azionato,  mancando  nella  specie  una  tutela
cautelare tipica in grado di assicurare in modo pieno  ed  effettivo,
nelle more di un eventuale giudizio di merito, il diritto  soggettivo
per cui questi ha agito ex art. 700 codice di procedura civile. 
5. Il «fumus boni iuris» ed il «periculum in mora». 
    Occorre, pertanto, procedere alla verifica della sussistenza  dei
presupposti della tutela d'urgenza, ovvero il «fumus boni iuris» e il
«periculum in mora». 
    Il «fumus boni iuris» viene generalmente inteso come  l'esistenza
di elementi che, sulla base di una cognizione sommaria (cioe'  ad  un
esame «prima facie»), fondino  l'opinione  positiva  in  ordine  alla
esistenza e tutelabilita' del diritto  azionato  in  chiave  di  c.d.
«verosimiglianza» della  pretesa  azionata  in  via  giudiziale  («ex
multis» tribunale Roma, Sez. XI, 27 gennaio 2017). 
    Orbene,  al  fine  di  stabilire  se  sussista   nell'ordinamento
italiano un diritto soggettivo  del  richiedente  asilo  titolare  di
permesso  di  soggiorno  ad   ottenere   l'iscrizione   al   registro
dell'anagrafe si  rende  necessario  esaminare  il  complesso  quadro
normativa attualmente vigente in tale materia. 
    Il Comune di ... resistente ha eccepito che ai sensi dell'art. 4,
comma  1-bis  del  decreto  legislativo  n.  142/2015  (c.d.  «Codice
Minniti»), come modificato dall'art. 13 comma 1, lettera  a),  numero
2) del decreto-legge  n.  113/2018  (c.d.  «Decreto  Sicurezza»)  poi
convertito  in  legge  n.  132/2018  il  permesso  di  soggiorno  per
richiesta di protezione internazionale non potrebbe  piu'  consentire
allo straniero richiedente di ottenere l'iscrizione anagrafica. 
    La norma di cui al comma 1-bis, di nuovo conio, sancisce che  «Il
permesso di soggiorno di cui al comma 1 non  costituisce  titolo  per
l'iscrizione anagrafica ai sensi del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 30 maggio 1989, n.  223,  e  dell'art.  6,  comma  7,  del
decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286». 
    La  questione  controversia  pone,  dunque,   all'interprete   il
problema di individuare il significato di tale disposizione, al  fine
di stabilire se lo straniero che  abbia  conseguito  un  permesso  di
soggiorno in attesa della definizione della sua domanda di protezione
internazionale  sia  (ancora)  titolare  di  un  diritto   soggettivo
perfetto  ad  ottenere  l'iscrizione  anagrafica  nella   popolazione
residente di un  comune  (cosi'  come  l'art.  6,  comma  7,  decreto
legislativo n. 286/1998, non modificato,  prevede  per  lo  straniero
regolarmente soggiornante). 
    In questa  prospettiva  occorre  prendere  in  considerazione  il
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.   223/1989,   recante
«Approvazione del  nuovo  regolamento  anagrafico  della  popolazione
residente», che nel  regolare  l'iscrizione  all'anagrafe,  individua
puntualmente: 
        i soggetti che  rendono  le  dichiarazioni  e  i  presupposti
affinche' le possano rendere (art. 6); 
        i casi nei quali si puo' richiedere  l'iscrizione  anagrafica
(art. 7); 
        le  dichiarazioni  da  rendere  per   ottenere   l'iscrizione
all'anagrafe (art. 13); 
        gli accertamenti compiuti dall'ufficiale dell'anagrafe  (art.
14). 
    L'art. 7 decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  223/1989
individua il novero dei soggetti che possono richiedere  l'iscrizione
all'anagrafe   della   popolazione   residente,    stabilendo:    «1.
L'iscrizione  nell'anagrafe   della   popolazione   residente   viene
effettuata: a)  per  nascita,  presso  il  Comune  di  residenza  dei
genitori o presso il  Comune  di  residenza  della  madre  qualora  i
genitori risultino residenti in comuni diversi, ovvero, quando  siano
ignoti i genitori, nel comune  ove  e'  residente  la  persona  o  la
convivenza  cui  il  nato  e'  stato  affidato;  b)   per   esistenza
giudizialmente  dichiarata;  c)  per   trasferimento   di   residenza
dall'estero  dichiarato   dall'interessato   non   iscritto,   oppure
accertato secondo quanto e'  disposto  dall'art.  15,  comma  1,  del
presente  regolamento,   anche   tenuto   conto   delle   particolari
disposizioni relative alle persone senza fissa dimora di cui all'art.
2, comma terzo, della legge 24 dicembre 1954, n.  1228,  nonche'  per
mancanza di precedente iscrizione. 
    2.  Per  le  persone  gia'  cancellate  per   irreperibilita'   e
successivamente  ricomparse  devesi  procedere  a  nuova   iscrizione
anagrafica. 
    3.  Gli  stranieri  iscritti  in  anagrafe  hanno  l'obbligo   di
rinnovare  all'ufficiale  di  anagrafe  la  dichiarazione  di  dimora
abituale nel Comune di residenza, entro sessanta giorni  dal  rinnovo
del  permesso  di  soggiorno,  corredata  dal  permesso  medesimo  e,
comunque, non decadono dall'iscrizione  nella  fase  di  rinnovo  del
permesso  di  soggiorno.  Per  gli  stranieri  muniti  di  carta   di
soggiorno, il rinnovo  della  dichiarazione  di  dimora  abituale  e'
effettuato  entro  sessanta  giorni  dal  rinnovo  della   carta   di
soggiorno. L'ufficiale di anagrafe aggiornera' la  scheda  anagrafica
dello straniero, dandone comunicazione al questore». 
    L'art. 7, comma 1, lettera b) contempla dunque  il  trasferimento
della residenza dall'estero tra i casi che attribuiscono  il  diritto
all'iscrizione anagrafica. Lo straniero, peraltro, come si evince dal
terzo comma di tale norma, e' tenuto a rinnovare la dichiarazione  di
dimora abituale nel comune ogni volta  che  ottiene  il  rinnovo  del
permesso di soggiorno. 
    Tutti  coloro  che  richiedono  l'iscrizione  anagrafica   devono
rendere delle dichiarazioni, di  cui  sono  responsabili:  l'art.  13
individua il contenuto della dichiarazione e l'art.  6  richiede  che
colui che  rende  la  dichiarazione  comprovi  la  propria  identita'
mediante un documento di riconoscimento. 
    L'art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989
prevede  che  «1.  Le  dichiarazioni  anagrafiche  da  rendersi   dai
responsabili di cui all'art. 6 del presente regolamento concernono  i
seguenti fatti: a) trasferimento  di  residenza  da  altro  comune  o
dall'estero ovvero trasferimento di residenza all'estero;»; 
    b) (...)" mentre  l'art.  6  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 223/1989 recita: «1. Ciascun componente della  famiglia
e' responsabile per se' e per le  persone  sulle  quali  esercita  la
potesta' la tutela delle dichiarazioni anagrafiche di cui all'art. 13
(...). 2. (...). 3. Le persone che rendono dichiarazioni  anagrafiche
debbono comprovare la propria identita' mediante l'esibizione  di  un
documento di riconoscimento». 
    A fronte delle dichiarazioni rese ai sensi dell'art.  13  di  cui
sopra, in un caso  rientrante  tra  quelli  legittimanti  individuati
dall'art. 7, da un soggetto munito di documento di riconoscimento  ai
sensi dell'art.  6,  l'ufficiale  dell'anagrafe  accerta  l'effettiva
sussistenza dei requisiti e procede all'iscrizione. 
    Cio' si desume dal disposto dell'art.  18-bis  che  prevede:  «1.
L'ufficiale d'anagrafe, entro quarantacinque giorni  dalla  ricezione
delle dichiarazioni rese ai sensi dell'art. 13, comma 1, lettere  a),
b) e c), accerta la  effettiva  sussistenza  dei  requisiti  previsti
dalla legislazione vigente per la registrazione. (...)». 
    L'art.  19  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica   n.
223/1989, poi,  nel  prevedere  uno  specifico  adempimento  compiuto
dall'ufficiale dell'anagrafe, individua un  ulteriore  requisito  per
ottenere l'iscrizione ovvero quello, c.d. «oggettivo»,  della  dimora
abituale nei comune in cui si chiede l'iscrizione: «2. L'ufficiale di
anagrafe e' tenuto a verificare la sussistenza  del  requisito  della
dimora  abituale  di  chi  richiede  l'iscrizione  (o  la  mutazione)
anagrafica. Gli accertamenti  devono  essere  svolti  a  mezzo  degli
appartenenti ai corpi di polizia  municipale  o  di  altro  personale
comunale  che  sia  stato  formalmente  autorizzato,  utilizzando  un
modello conforme  all'apposito  esemplare  predisposto  dall'Istituto
nazionale di statistica.». 
    Per quanto concerne  le  persone  che  trasferiscono  la  propria
residenza  dall'estero,  l'art.  14,  comma  1,  richiede  che   «Chi
trasferisce la residenza dall'estero deve comprovare  all'atto  della
dichiarazione di cui all'art. 13, comma 1,  lettera  a),  la  propria
identita' mediante l'esibizione del passaporto o di  altro  documento
equipollente», cosi'  imponendo  una  ulteriore  verifica  ovvero  il
possesso in capo al richiedente di un passaporto o  un  documento  di
natura equipollente 
    Effettuata  la  ricognizione  della  normativa  in   materia   di
anagrafe, deve ora passarsi  all'esame  dell'art.  6,  comma  7,  del
decreto legislativo n. 286 del 1998, «Testo unico delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero», altra  norma  richiamata,  al  pari  del  succitato
decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989, dal  nuovo  art.
4, comma 1-bis, decreto legislativo n. 142/2015, oggetto di esame  in
questa sede. 
    L'art. 6, comma 7, decreto legislativo n. 286/1998  sancisce  che
«Le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero  regolarmente
soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni  dei  cittadini
italiani con le modalita' previste dal regolamento di attuazione.  In
ogni caso la dimora dello straniero si considera  abituale  anche  in
caso di documentata ospitalita' da piu' di tre mesi presso un  centro
di accoglienza. Dell'avvenuta iscrizione o variazione  l'ufficio  da'
comunicazione alla questura territorialmente competente». 
    La disposizione in esame stabilisce, quindi, in primo  luogo  che
lo straniero ha  diritto  alle  iscrizioni  anagrafiche  alle  stesse
condizioni del cittadino italiano; in secondo luogo che perche'  cio'
avvenga lo straniero deve essere regolarmente soggiornante ed  infine
che  la  dimora  dello  straniero  si  considera  abituale  (ai  fini
dell'iscrizione nei registri dell'anagrafe civile  e,  dunque,  della
fissazione della residenza), quando e' documentata la sua  permanenza
per piu' di tre mesi presso un centro di accoglienza. 
    Individuate  le  norme  cui  l'art.  4,  comma   1-bis,   decreto
legislativo  n.  142/2015  fa  riferimento  in  punto  di  iscrizione
nell'anagrafe per gli stranieri  che  siano  muniti  di  permesso  di
soggiorno per asilo, si puo' ora passare a  scrutinare  la  norma  di
nuovo conio, al fine di comprenderne il reale significato. 
    L'art.  4,  comma  1-bis,  decreto   legislativo   n.   142/2015,
introdotto all'interno del c.d. «Codice Minniti» dal decreto-legge n.
113/2018  (c.d.  «Decreto  Sicurezza»)  sancisce:  «Il  permesso   di
soggiorno di cui al comma l non costituisce titolo  per  l'iscrizione
anagrafica ai sensi del decreto del Presidente  della  Repubblica  30
maggio 1989, n. 223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto  legislativo
25 luglio 1998, n. 286». 
    Tuttavia dalla disamina sopra svolta e' emerso che  le  norme  di
cui al  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n,  223/1989  ed
all'art.  6,  comma  7,  del  decreto  legislativo  n.  286/1998  non
richiedono  espressamente  alcun  «titolo»   ai   fini   della   loro
operativita'. 
    La  normativa  in  materia  di  anagrafe,  infatti,  pone   quali
presupposti   ai   fini   dell'operativita'   dell'iscrizione   delle
«dichiarazioni»,  ricognitive  di  uno  stato  di  fatto  di   natura
oggettiva (nel caso di specie, l'avvenuto trasferimento  dall'estero)
e  richiede  «accertamenti»  quale  quello   relativo   all'effettiva
sussistenza della  dimora  abituale  nel  comune  in  cui  si  chiede
l'iscrizione anagrafica. A sua volta l'art. 6,  comma  7,  del  Testo
unico Immigrazione si limita a  chiarire  quando  la  dimora  di  uno
straniero possa definirsi abituale e a quali condizioni lo  straniero
possa ottenere l'iscrizione anagrafica. 
    A ben vedere, tuttavia, entrambe le normative sono accomunate  da
un  minimo  comune  denominatore,  che  si  pone  quale   presupposto
indefettibile  per  l'operativita'  delle  stesse,  e  cioe'  che  lo
straniero richiedente soggiorni regolarmente sul territorio  italiano
e che sia in possesso di un documento di riconoscimento. 
    Il requisito della  regolarita'  del  soggiorno  viene  richiesto
dall'ordinamento da una parte  per  l'operativita'  dell'art.  6  del
decreto legislativo n.  286/1998,  cioe'  per  ottenere  l'iscrizione
anagrafica  alle  medesime  condizioni  del  cittadino   italiano   e
dall'altra per ottenere l'iscrizione stessa, dal momento  che  l'art.
7, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica  n.  223/1989
impone allo straniero di rinnovare gli  adempimenti  al  rinnovo  del
permesso di soggiorno. 
    Il requisito del possesso di un documento  di  riconoscimento  e'
invece richiesto dall'ordinamento da un lato per provare  l'identita'
per poter rendere le dichiarazioni di  cui  all'art.  6  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 223/1989 e dall'altro  per  dimostrare
l'identita' per poter trasferire la residenza dall'esterno  ai  sensi
dell'art. 14 dello stesso decreto del Presidente della Repubblica  n.
223/1989. 
    Cosi' ricostruito, al fine di scrutinare la fondatezza oppure  no
del ricorso ex art. 700 codice di procedura civile sotto  il  profilo
della sussistenza del «fumus boni iuris» il  perimetro  normativo  di
riferimento,  costituito  dall'art.  4,  comma  1-bis,  del   decreto
legislativo  n.  142/2015,  e  dal  decreto  del   Presidente   della
Repubblica n. 223/1989 e dall'art. 6, comma 7, decreto legislativo n.
286/1998 (richiamati dal «Codice Minniti») ad una prima lettura,  che
si arresti sul piano di una interpretazione letterale  (che  in  base
all'art. 12  delle  Preleggi  e'  il  primo  canone  ermeneutico  cui
l'interprete  deve  fare  ricorso  nell'applicare  la  legge)  appare
evidente che l'espressione di  nuovo  conio  contenuta  nell'art.  4,
comma 1-bis decreto legislativo n. 142/2015, secondo cui «il permesso
di soggiorno non costituisce titolo» assume un immediato significato,
e  cioe'  che  il  permesso  di  soggiorno   non   prova,   ai   fini
dell'iscrizione nei registri  dell'anagrafe  del  comune  in  cui  si
intende risiedere, la regolarita' del soggiorno  dello  straniero  in
Italia, ne' costituisce  a  tal  fine  documento  di  riconoscimento.
Quest'interpretazione  letterale   risulta   confermata   dall'intero
dettato normativo dell'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015  in
cui la novella  disposizione  e'  stata  innestata  dal  legislatore:
l'art. 4 del «Codice Minniti»,  infatti,  e'  volto  a  delineare  il
permesso di soggiorno rilasciato al richiedente asilo, individuandone
la valenza giuridica, stabilendo da una  parte  che  il  permesso  di
soggiorno costituisce titolo di legittima permanenza dello  straniero
sul territorio nazionale, dall'altra che esso e' un equipollente  del
documento di riconoscimento ai sensi di legge (comma 1). 
    L'introduzione della disposizione oggetto di esame al comma 1-bis
dell'art. 4 decreto legislativo n. 142/2015, allora, non puo'  essere
considerata casuale, e fornisce una conferma di quanto gia'  evidente
sul terreno del  dato  letterale,  ovvero  che  ai  soli  fini  della
disciplina dell'iscrizione all'anagrafe il permesso di soggiorno  non
attesta la regolarita' del soggiorno dello straniero sul territorio e
non costituisce documento di riconoscimento. 
    Il compito dell'interprete nell'individuare il significato di una
norma, specie se di nuova introduzione e  dal  significato  «dubbio»,
come nella fattispecie concreta, non puo' pero' fermarsi soltanto  al
criterio ermeneutico letterale; l'art. 12  delle  Preleggi,  infatti,
impone  di  fare  ricorso  anche  al  c.d.  «criterio   teleologico»,
imponendogli di  tenere  conto  nell'attivita'  interpretativa  anche
dell'intenzione del legislatore. 
    Sotto questo profilo e' noto che con l'«intentio legis» non  vada
intesa  come  la  volonta'  soggettiva  di  chi  ha  concorso  in  un
determinato momento storico ad emanare la norma, bensi'  l'intenzione
obiettivizzata  nella  legge,  cioe'  la  sua  ragione,   l'interesse
specifico che con essa si tende a salvaguardare. 
    L'«intentio legis» oggettiva si desume dai lavori  preparatori  e
dalle relazioni di accompagnamento delle leggi. 
    Ebbene, la  relazione  di  accompagnamento  al  decreto-legge  n.
113/2018 espressamente  statuisce  sul  punto  che  «il  permesso  di
soggiorno per richiesta asilo non consente l'iscrizione  all'anagrafe
dei residenti, fermo  restando  che  esso  costituisce  documento  di
riconoscimento  (...)  l'esclusione  dell'iscrizione  anagrafica   si
giustifica per la precarieta' del  permesso  per  richiesta  asilo  e
risponde alla necessita' di definire  preventivamente  la  condizione
giuridica dello straniero». 
    Dalla relazione di accompagnamento emerge, dunque, in modo chiaro
ed inequivoco come  il  legislatore,  attraverso  l'introduzione  del
comma 1-bis nel corpo dell'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015
abbia  avuto  di  mira  un  sensibile  restringimento  delle   maglie
normative per l'iscrizione all'anagrafe dei residenti degli stranieri
muniti di permesso di soggiorno per richiesta asilo. 
    Tale scelta  si  spiega,  come  esplicitato  dalla  relazione  di
accompagnamento, alla luce dell'esigenza di  definire  quale  sia  la
condizione giuridica dello straniero e se cioe' abbia diritto o  meno
alla permanenza sul territorio nazionale a seguito del riconoscimento
di una delle forme di protezione internazionale.  In  altri  termini,
secondo il legislatore  la  «precarieta'»  ed  «interinalita'»  della
posizione in cui si trova lo straniero in attesa che sia definito  il
suo procedimento di protezione  internazionale,  osta  all'iscrizione
dello stesso nell'anagrafe del comune in cui questi  intenda  fissare
la   propria   residenza.   Di   conseguenza   il   legislatore    ha
consapevolmente  subordinato  il  diritto  all'iscrizione  anagrafica
dello straniero in possesso di un permesso di soggiorno per richiesta
di asilo, all'esito della definizione  (positiva  o  negativa)  della
richiesta di protezione dello straniero. 
    Questo dato  e'  ulteriormente  confermato  dalla  circolare  del
Ministero dell'interno n. 15 del 18  ottobre  2018  che,  pur  avendo
natura    di    atto    amministrativo    a     carattere     interno
all'amministrazione, come tale subordinato alla legge, puo'  comunque
assumere un qualche rilievo nella vicenda che ci  occupa,  in  quanto
emessa dal Ministero dell'interno, tra le  cui  prerogative  rientra,
tra le altre, proprio la materia dell'anagrafe. 
    La circolare sancisce espressamente che «il permesso di soggiorno
per richiesta di protezione internazionale di cui all'art.  4,  comma
1, del citato decreto legislativo n. 142/2015 non  potra'  consentire
l'iscrizione anagrafica». 
    A confermare vieppiu' l'interpretazione dell'art. 4, comma  1-bis
decreto legislativo n. 142/2015 come norma volta ad escludere che  lo
straniero titolare di permesso di soggiorno per  richiesta  di  asilo
possa oggi ottenere l'iscrizione del suo nominativo nell'anagrafe del
comune ove risiede vi e' poi il Dossier n. 66/2 del 9  novembre  2018
redatto  dal  Servizio  studi  Ufficio   ricerche   sulle   questioni
istituzionali,  giustizia  e  cultura  del  Senato  della  Repubblica
(Dossier reperibile dal sito web del Senato  della  Repubblica)  che,
pur non avendo  alcuna  rilevanza  normativa,  registra  e  documenta
l'attivita' degli organi parlamentari. 
    Il Dossier, alle pagine da 126 a  129  esamina  le  modifiche  in
materia di iscrizione anagrafica, evidenziando che  «la  disposizione
in esame deroga al principio espresso nel testo unico per i  titolari
di un permesso di soggiorno per richiesta asilo. Secondo la relazione
illustrativa, l'esclusione dell'iscrizione anagrafica  si  giustifica
per la precarieta' del permesso di soggiorno per  richiesta  asilo  e
risponde alla necessita' di definire in via preventiva la  condizione
giuridica del richiedente. In relazione alle modifiche previste dalla
disposizione in esame, va richiamato che l'iscrizione  anagrafica  e'
comunque il presupposto per l'esercizio  di  alcuni  diritti  sociali
(...)». 
    Sia  il  canone   dell'interpretazione   letterale   sia   quello
dell'interpretazione  telelogica  conducono,  dunque,   allo   stesso
risultato:  per  il  legislatore  il  permesso   di   soggiorno   per
richiedenti asilo non attesta (piu') la regolarita' del soggiorno  ai
fini dell'iscrizione all'anagrafe della popolazione residente. 
    Cosi individuato il significato della disposizione in  esame,  si
pone il problema di capire se  l'art.  4,  comma  1-bis  del  decreto
legislativo n. 142/2015 sia conforme  oppure  no  alla  Costituzione,
laddove si risolve nel privare, sia pure limitatamente all'iscrizione
all'anagrafe,  il  permesso  di  soggiorno   dell'effetto   giuridico
ontologicamente  riconnesso  al  suo  rilascio,  ovvero   quello   di
attestare la regolarita' del soggiorno dello straniero in Italia. 
    Un problema di legittimita' costituzionale, a ben vedere, si pone
ad avviso di questo Giudice in quanto e' precluso all'interprete fare
ricorso ad ulteriori canoni interpretativi, stante la soggezione  del
giudice  alla  legge  (art.  101  Cost.),  nonche'  considerato   che
l'utilizzo  di  altri  criteri  interpretativi  si  risolverebbe   in
un'interpretazione in evidente - e non consentito - contrasto con  il
dato letterale della norma e con l'intenzione del legislatore sottesa
all'introduzione della stessa (che nel caso  di  specie  conferma  ed
avvalora il dato letterale). 
    Una tale operazione, infatti, finirebbe inevitabilmente per  dare
luogo ad  una  «interpretatio  abrogans»,  in  palese  contrasto  con
l'esercizio della potesta' legislativa  in  capo  all'organo  a  cio'
deputato. 
    Ogni forma di interpretazione consentita all'interprete, infatti,
non puo' mai essere sganciata dal dato letterale potendo, al massimo,
arrivare ad individuare un risultato  che  rientri  tra  i  possibili
significati  semantici  delle  parole  utilizzate  dal   legislatore,
nonche' dalla loro connessione (art. 12 Preleggi). 
    Ed in particolare, occorre in questa sede interrogarsi  circa  la
possibilita'  di  fornire  alla  disposizione  di  cui  occorre  fare
applicazione nel caso  di  specie  un'interpretazione  conforme  alla
Costituzione   o   «costituzionalmente   orientata».    Secondo    la
giurisprudenza  della  Corte  costituzionale   («ex   multis»   Corte
costituzionale n. 77  del  12  marzo  2007),  infatti,  la  eventuale
questione di legittimita' costituzionale e' inammissibile laddove  il
Giudice  non  abbia  dapprima  tentato  la  via  dell'interpretazione
«costituzionalmente orientata»,  cioe'  in  grado  di  conciliare  il
significato di una norma con la Costituzione e con i valori  in  essa
consacrati, in tal modo facendola salva. 
    Sul punto e' noto che vari Tribunali hanno seguito  il  tentativo
di una interpretazione costituzionalmente orientata:  si  tratta  del
Tribunale di Bologna con l'ordinanza del 2 maggio 2019, del Tribunale
di Firenze con l'ordinanza del 18  marzo  2019  e  del  Tribunale  di
Genova con l'ordinanza del 22 maggio 2019. 
    Queste pronunce sono tra loro accomunate  dal  medesimo  percorso
argomentativo, giungendo al risultato per cui l'art. 4,  comma  1-bis
del decreto legislativo n. 142/2015 non pone un divieto  espresso  di
iscrizione all'anagrafe del richiedente asilo titolare  del  permesso
di  soggiorno.  Alcuni  Giudici   di   merito   sono   addivenuti   a
quest'interpretazione - costituzionalmente orientata  -  muovendo  da
due argomentazioni. 
    La prima e' che la locuzione della nuova  norma  prevede  che  il
permesso di soggiorno «non costituisce titolo» ma,  da  una  disamina
della normativa di settore, si evince che il  permesso  di  soggiorno
non  costituisce  mai   «titolo»   per   l'iscrizione   all'anagrafe,
costituendo  mera  prova  della  regolarita'  del   soggiorno   dello
straniero sul territorio. 
    La seconda motivazione risiede nella circostanza che  il  decreto
legislativo n. 142/2015 all'art. 5-bis - come introdotto dalla  legge
n. 46/2017, poi abrogato proprio dal decreto-legge n. 113/2018  (c.d.
«Decreto   Sicurezza»)   aveva   introdotto   una   procedura    c.d.
«semplificata» di iscrizione all'anagrafe del richiedente asilo. 
    La  norma  oggi  abrogata  cosi  recitava:  «1.  Il   richiedente
protezione internazionale ospitato nei centri di cui agli articoli 9,
11 e 14 e' iscritto  nell'anagrafe  della  popolazione  residente  ai
sensi dell'art. 5 del regolamento di cui al  decreto  del  Presidente
della  Repubblica  30  maggio  1989,  n.  223,   ove   non   iscritto
individualmente. 2. E' fatto obbligo al responsabile della convivenza
di dare comunicazione della variazione della convivenza al competente
ufficio di anagrafe entro venti giorni dalla  data  in  cui  si  sono
verificati i fatti. 3. La comunicazione, da  parte  del  responsabile
della convivenza anagrafica, della revoca delle misure di accoglienza
o dell'allontanamento non  giustificato  del  richiedente  protezione
internazionale costituisce motivo  di  cancellazione  anagrafica  con
effetto immediato, fermo restando il  diritto  di  essere  nuovamente
iscritto ai sensi del comma 1». 
    Questa procedura, derogando alla disciplina c.d.  «ordinaria»  di
iscrizione all'anagrafe, prevedeva  che  fosse  il  responsabile  del
centro di accoglienza che ospitava  il  migrante  ad  effettuare  una
comunicazione all'ufficio dell'anagrafe e, quindi, che non  fosse  il
diretto interessato a richiedere l'iscrizione. 
    Secondo  i  Tribunali  che   hanno   offerto   un'interpretazione
costituzionalmente  orientata  dell'art.  4,  comma   1-bis   decreto
legislativo n. 142/2015, dunque, considerato che il decreto-legge  n.
113/2018 da un lato ha abrogato tale  procedura  di  iscrizione  c.d.
«semplificata» (abrogando l'art. 5-bis  del  decreto  legislativo  n.
142/2015) e stabilendo dall'altro che «il permesso di soggiorno  "non
costituisce  titolo  per  l'iscrizione  anagrafica..."»,  si  sarebbe
limitata ad eliminare ogni automatismo tra il rilascio  del  permesso
di soggiorno e l'iscrizione all'anagrafe, automatismo che era posto a
fondamento dell'art. 5-bis sopra richiamato). 
    Secondo le pronunce in oggetto, questa  soluzione  interpretativa
troverebbe riscontro nel fatto che il decreto-legge n.  113/2018  non
ha apportato alcuna modifica all'art. 6 del  decreto  legislativo  n.
286/1998  in  punto  di  parificazione  tra  stranieri   regolarmente
soggiornanti  (ivi  compresi  quelli  in  possesso  di  permesso   di
soggiorno quali richiedenti  asilo)  e  cittadini  italiani  ai  fini
dell'iscrizione all'anagrafe. 
    Tale interpretazione non appare a questo Giudice condivisibile. 
    Essa, infatti, ancorche' apprezzabile nel cercare  di  attribuire
alla norma in oggetto un  significato  costituzionalmente  orientato,
finisce per  svuotare  la  norma  di  qualsiasi  portata  innovativa,
realizzando, di fatto, un'abrogazione per  via  interpretativa  della
stessa, operazione assolutamente non consentita al Giudice. 
    Non sembra potersi ritenere, infatti, che l'art. 4,  comma  1-bis
del decreto legislativo n. 142/2015 sia interpretabile nel  senso  di
essere norma diretta ad  abolire  la  procedura  di  iscrizione  c.d.
«semplificata» poiche' non  vi  era  alcuna  necessita'  di  ribadire
l'elisione dell'automatismo tra rilascio del permesso di soggiorno ed
iscrizione  all'anagrafe,  gia'  realizzata  mediante   l'abrogazione
dell'art. 5-bis del decreto legislativo n. 142/2015 proprio ad  opera
del  decreto-legge   n.   113/2018   attraverso   l'introduzione   di
un'ulteriore disposizione. Non si comprende, invero, per quale motivo
il  legislatore   avrebbe   dovuto   abrogate   la   procedura   c.d.
«semplificata»  di  iscrizione  all'anagrafe  mediante   un   duplice
intervento  sul  medesimo  testo   normativo,   ovvero   il   decreto
legislativo n. 142/2015. 
    Inoltre, tra tutti i possibili significati riconducibili  ad  una
norma, nei casi dubbi si deve optare per quello che  riconnette  alla
medesima un qualche effetto, se esistente, in ossequio  al  principio
generale  di  conservazione  degli   atti   giuridici   che   governa
l'ordinamento italiano. 
    Ad ogni modo, poi, anche qualora si volesse attribuire alla norma
di cui all'art. 4, comma 1-bis del decreto legislativo n. 142/2015 il
significato attribuito dai suddetti Tribunali, non si comprende quale
sia il senso del richiamo da essa effettuato all'art. 6, comma 7, del
decreto legislativo n. 286/1998, laddove si afferma che  il  permesso
di soggiorno non e' titolo ai sensi di quella norma: l'art. 6,  comma
7, del decreto legislativo n. 286/1998, infatti,  non  si  occupa  in
alcun modo dell'automatismo tra rilascio del permesso di soggiorno ed
iscrizione  all'anagrafe,  limitandosi  piuttosto  a   enucleare   la
regolarita' del soggiorno dello straniero  quale  condizione  per  la
parificazione  al   cittadino   ai   fini   dell'applicazione   della
disciplina. 
    Ne' appare rilevante la mancata modifica dell'art.  6,  comma  7,
del decreto legislativo n. 286/1998  Testo  unico  immigrazione,  che
viene  evocata  dall'orientamento  «costituzionalmente  orientato»  a
riprova  dell'applicazione  della  disciplina  c.d.  «ordinaria»   in
materia  di  iscrizione  all'anagrafe  anche  al  richiedente   asilo
titolare del permesso di soggiorno, non rileva in alcun  modo.  Anzi,
e' proprio l'art. 4, comma 1-bis del decreto legislativo n.  142/2015
che, in qualita' di norma di pari rango e posteriore introducendo una
deroga, sottrae uno spazio applicativo all'art.  6  del  Testo  unico
Immigrazione, cosi' escludendo che il permesso  per  richiesta  asilo
sia  prova  della  regolarita'  del  soggiorno  ai  fini  della   sua
applicazione. 
    Per tutte le ragioni innanzi esposte, dunque, si ritiene  di  non
poter dare continuita' all'interpretazione prospettata nelle pronunce
richiamate dal ricorrente nel ricorso, secondo la quale la  norma  in
questione  «sancisce  l'abrogazione,  non   della   possibilita'   di
iscriversi al registro della popolazione residente dei titolari di un
permesso di soggiorno per richiesta asilo, ma  solo  della  procedura
semplificata prevista nel  2017,  che  introduceva  l'istituto  della
convivenza  anagrafica,  svincolando   l'iscrizione   dai   controlli
previsti per gli altri  stranieri  regolarmente  residente  e  per  i
cittadini italiani». 
    D'altra parte, se e' vero che il Giudice nell'esercizio  del  suo
potere di sindacato diffuso sulla legittimita'  costituzionale  delle
norme deve tentare sempre la strada dell'interpretazione  adeguatrice
o costituzionalmente orientata della  norma  prima  di  sollevare  la
questione di legittimita' costituzionale,  e'  altrettanto  vero  che
l'interpretazione adeguatrice o costituzionalmente orientata non puo'
mai  risolversi  in  una  attivita'  che  si   risolva,   di   fatto,
nell'abrogare una norma,  attivita'  questa  consentita  soltanto  al
legislatore e, in caso di contrasto della norma con la  Costituzione,
alla Corte costituzionale mediante  una  pronuncia  che  espella  «ex
tunc» la norma dal sistema normativo. 
    In ordine alla chiarezza del portato  normativo  si  e'  espresso
recentemente anche il Tribunale di  Trento  con  l'ordinanza  dell'11
giugno  2019,  sancendo  che  l'attuale  assetto  normativo  preclude
l'iscrizione all'anagrafe al richiedente asilo titolare del  permesso
di soggiorno, arrivando ad affermare che la «palese  chiarezza  della
relativa normativa richiamata, di cui all'art. 4, comma  1-bis  della
legge  n.  142/2015,  cosi'  come   modificato   dall'art.   13   del
decreto-legge n. 113/2018, che esclude, per tabulas, la  possibilita'
per il richiedente protezione di ottenere l'iscrizione anagrafica nel
comune, ove e' di fatto residente». 
    Il Tribunale di Trento, inoltre, richiama il  palese  significato
della norma quale limite per l'interprete. 
    Cosi' ricostruita l'interpretazione della disposizione e chiarita
l'impossibilita' di riconnettere alla stessa un significato diverso -
ed  opposto  -  rispetto  a  quello  che  conduce  alla   preclusione
all'iscrizione anagrafica per il richiedente, pena lo  stravolgimento
non consentito del dettato  normativa,  si  rende  allora  necessario
effettuare un'analisi circa la  compatibilita'  della  norma  con  il
sistema costituzionale, tenuto conto che  il  Giudice  ha  sottoposto
all'attenzione delle parti in sede di  udienza  di  comparizione,  la
possibile illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1-bis, del
decreto legislativo n. 142/2015. 
    Appare allora chiaro che alla luce dell'attuale assetto normativo
la domanda  cautelare  dovrebbe  essere  rigettata  per  difetto  del
requisito indispensabile del «fumus boni iuris», essendo legittimo il
diniego di iscrizione  anagrafica  opposto  dal  Comune  di  ...  nei
confronti del ricorrente, il quale  non  sarebbe  titolare  di  alcun
diritto soggettivo ad ottenere la predetta iscrizione anagrafica. 
    Laddove si  dovesse  ritenere  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale sollevata  «ex  officio»  si
renderebbe necessario indagare il rapporto  tra  tutela  cautelare  e
sospensione del processo per rimessione della  questione  alla  Corte
costituzionale. 
    Tuttavia, prima di  passare  allo  scrutinio  della  legittimita'
costituzionale  della  norma  e  della  possibilita'   di   sollevare
questione di legittimita'  costituzionale  nell'ambito  del  giudizio
cautelare, appare utile soffermarsi sulla sussistenza del presupposto
indefettibile della tutela cautelare del «periculum in mora», e  cio'
per due ragioni: la prima risiede  nel  fatto  che,  laddove  non  si
dovesse ritenere sussistente il «periculum in mora» si imporrebbe  il
rigetto della domanda cautelare a prescindere dalla  sussistenza  del
«fumus boni iuris», rendendosi quindi ultronea qualsiasi  valutazione
sulla (il)legittimita' costituzionale della norma e sulla conseguente
possibilita'   di   introdurre   un   incidente    di    legittimita'
costituzionale, poiche' la questione sarebbe  allora  irrilevante  ai
fini del decidere. La seconda ragione sta nel fatto che  l'esame  del
«periculum in mora» potra'  gia'  fornire  elementi  in  ordine  alla
individuazione dei diritti che  risultano  eventualmente  compromessi
dalla mancata iscrizione all'anagrafe e, dunque, indizi che  potranno
risultare eventualmente utili a vagliare la non manifesta  fondatezza
della questione. 
    Quanto all'ulteriore requisito di legge, parimenti  indefettibile
ai fini dell'accoglimento del ricorso cautelare,  del  «periculum  in
mora», si osserva che tale presupposto richiede, in  particolare,  la
prova da parte  di  chi  invoca  la  tutela  d'urgenza  che  i  tempi
connaturati alla tutela in via ordinaria del diritto  -  fondatamente
azionato, secondo una valutazione sommaria - determinano il  pericolo
di un pregiudizio imminente e irreparabile, da intendersi quale danno
incombente  in  concreto  e  non  suscettibile  di  essere  ristorato
mediante risarcimento per equivalente. 
    Il ricorrente ha argomentato la  sussistenza  del  «periculum  in
mora» nella propria impossibilita' di esercitare diritti e  facolta',
che presuppongono l'avvenuta iscrizione all'anagrafe  dei  residenti,
impossibilita' che porterebbe quindi a pregiudizi non ristorabili per
equivalente monetario all'esito della  definizione  di  un  eventuale
giudizio di merito 
    Nel ricorso introduttivo i pregiudizi  sono  stati  indicati  dal
ricorrente, anche mediante  il  richiamo  a  quanto  affermato  dalla
giurisprudenza  di  merito,  che  ha  evidenziato  come  la   mancata
iscrizione anagrafica rischi di  impedire  l'esercizio  effettivo  di
diritti  di  rilievo  costituzionale   che   potrebbero   subire   un
pregiudizio irreparabile. 
    I diritti che  costituzionalmente  rilevanti  che  risulterebbero
impediti a causa del rifiuto  del  Comune  di  ...  di  iscrivere  il
ricorrente nel registro dell'anagrafe del  Comune  sono  stati  cosi'
individuati: 
        il diritto ad accedere alle misure  di  politica  attiva  del
lavoro (art. 11, comma  1,  lettera  c  del  decreto  legislativo  n.
150/2015); 
        il diritto di poter chiedere ed ottenere un numero di partita
I.V.A. (art. 35, comma 2, decreto legislativo n. 633/1972); 
        il diritto di ottenere la determinazione del valore  I.S.E.E.
necessario per potere accedere  alle  prestazioni  sociali  agevolate
(art. 1, comma 125, legge n. 104/1990); 
        il diritto di ottenere, decorsi  dieci  anni  dall'iscrizione
nel registro dell'anagrafe di un  comune  italiano,  la  cittadinanza
italiana ex art. 9, comma 1, legge n. 91/1992; 
        il diritto ad ottenere il rilascio della patente di guida  ai
sensi dell'art. 118-bis del decreto legislativo n.  285/1992  (Codice
della strada); 
        il diritto di accedere all'istruzione scolastica; 
        il diritto all'ottenimento di una concessione commerciale per
il commercio ambulante ed all'esercizio di un professione; 
        il diritto di accedere  pienamente  all'assistenza  sanitaria
nazionale, poiche' il cittadino privo di residenza puo' accedere solo
al servizio di pronto soccorso. 
    Stante la pacifica possibilita'  per  legge  di  esercitare  tali
diritti e facolta' solo successivamente all'iscrizione di un soggetto
nell'anagrafe di un comune italiano, risulta provata  la  sussistenza
del «periculum in mora», poiche' al di la' del concreto ed  effettivo
esercizio di tali diritti, eventualmente negato, va  considerato  che
il diniego opposto dall'Amministrazione comunale  al  ricorrente  sta
indubbiamente impedendo a quest'ultimo ed impedira', almeno fino alla
definizione del suo procedimento di  richiesta  di  asilo  (o  di  un
ordinario giudizio di merito)  l'esercizio  di  tutti  diritti  e  le
facolta' sopra indicate la cui violazione,  essendo  tali  diritti  e
facolta' inerenti alla  persona  in  quanto  tale,  non  puo'  essere
riparate per  equivalente,  «ex  post»,  all'esito  di  un  eventuale
giudizio di merito che stabilisca la illegittimita' del rifiuto. 
    In virtu' di quanto innanzi esposto,  dunque,  che  nel  caso  di
specie sussiste il presupposto del «periculum in mora». 
6. La questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  4,  comma
1-bis, del decreto legislativo n.  142/2015  inserito  dall'art.  13,
comma 1,  lettera  a),  numero  2),  dei  decreto-legge  n.  113/2018
convertito in legge n. 132/2018. 
    L'accertamento della sussistenza del requisito del «periculum  in
mora»  richiesto  dall'art.  700  codice  di  procedura  civile   per
l'accoglimento del  ricorso  cautelare  implica  che  la  prospettata
questione di legittimita' costituzionale dell'art.  4,  comma  1-bis,
del decreto legislativo n. 142/2015 inserito dall'art. 13,  comma  1,
lettera a), numero 2), del decreto-legge n.  113/2018  convertito  in
legge n. 132/2018 assume il carattere della «rilevanza» nel  presente
giudizio. 
    «Rilevanza» della questione che ai sensi dell'art. 23,  comma  3,
della legge  n.  87/1953  costituisce  insieme  alla  «non  manifesta
infondatezza» della stessa uno dei due  requisiti  di  ammissibilita'
della questione incidentale di costituzionalita' di una legge o di un
atto avente forza di legge. 
    La rilevanza, infatti, «esprime il rapporto che dovrebbe  correre
fra la soluzione della questione e la  definizione  del  giudizio  in
corso»  (Corte  cost.  sentenza  n.   13/1965)   o   «il   nesso   di
pregiudizialita' fra la risoluzione della questione  di  legittimita'
costituzionale  e  la  decisione  del  caso  concreto»  (Corte  cost.
sentenza n. 77/1983), ragion per cui essa ricorre  nella  vicenda  in
esame, dal momento che il procedimento cautelare in oggetto non  puo'
essere definito senza fare applicazione  della  norma  sospettata  di
illegittimita' costituzionale. 
    Il  ricorrente,  infatti,  ha  adito  l'autorita'  giudiziaria  a
seguito del rigetto della domanda di  iscrizione  all'anagrafe  della
popolazione residente pronunciato  dall'ufficiale  dell'anagrafe  del
Comune di ..., il quale ha  fondato  il  diniego  alla  richiesta  di
iscrizione  proprio  sull'applicazione  della  norma  sospettata   di
illegittimita' costituzionale. 
    Nella presente fase cautelare, quindi, il Giudice e'  chiamato  a
pronunciare provvedimenti opportuni, facendo applicazione  di  quella
norma. 
    Alla luce di  tutto  quanto  sopra  enunciato  sub  par.  4),  si
dovrebbe addivenire al rigetto della domanda  cautelare  per  difetto
del requisito del «fumus boni iuris», poiche' l'art. 4,  comma  1-bis
del decreto legislativo n. 142/2015  cosi'  come  interpretato  sulla
base  del  criterio  letterale  e  teleologico   risulta   avere   il
significato per cui Io straniero in possesso di permesso di soggiorno
quale richiedente asilo  non  ha  diritto  ad  ottenere  l'iscrizione
anagrafica. 
    Tuttavia,  proprio  il  fondato  dubbio  circa  la   legittimita'
costituzionale della norma, abilita il  Giudice  che  e'  chiamato  a
farne applicazione a sollevare la relativa questione. 
    Infatti, se da  un  lato  la  rilevanza  della  questione  appare
pacifica, dall'altro, occorre soffermarsi  sul  rapporto  tra  tutela
cautelare e questione di legittimita' costituzionale sollevata in via
incidentale nell'ambito del relativo giudizio. 
    E' evidente, infatti, che l'ontologica celerita'  che  permea  il
rito cautelare entra in rotta di  collisione  con  il  meccanismo  di
sospensione del processo per rimessione  della  questione  al  vaglio
della Corte costituzionale, cosi determinandone un arresto, sia  pure
temporaneo. 
    L'interferenza  tra  i  due  giudizi  non  puo'  essere   risolta
accedendo alla soluzione che opta per  la  assoluta  incompatibilita'
tra tutela cautelare e giudizio di  legittimita'  costituzionale,  in
quanto e' evidente che la soluzione pecca per eccessivo formalismo ed
obbliga il Giudice della cautela - chiamato a fornire  una  tutela  a
fronte  di  situazioni  minacciate  da   pregiudizio   imminente   ed
irreparabile - a negare la tutela stessa, facendo applicazione di una
norma sospettata di illegittimita' costituzionale. 
    Allo  stesso  tempo,  in  un  sistema  giuridico   di   sindacato
costituzionale accentrato in  capo  alla  Corte  costituzionale,  non
appare percorribile neanche la soluzione  diametralmente  opposta,  e
cioe' quella del Giudice che concede la tutela cautelare mediante  la
semplice disapplicazione della  norma  sospettata  di  illegittimita'
costituzionale. Quest'ultima soluzione finirebbe per  trasformare  il
Giudice di merito in «Giudice delle leggi», creando cosi' una vistosa
anomalia del sistema, per cui si assisterebbe ad un esercizio  di  un
potere   costituzionale   (quello   di   stigmatizzare    le    norme
incostituzionali, espellendole definitivamente dal sistema normativo)
riservato  ad  altro  organo  (appunto  la  Corte  costituzionale)  e
l'efficacia «inter partes», relativa,  della  pronuncia  avrebbe  dei
riflessi in tema di  trattamento  diversificato  sul  territorio.  Si
aggiunga, inoltre, che alla luce della idoneita' del provvedimento ex
art. 700 codice di procedura civile a conservare  la  sua  efficacia,
rientrando lo stesso nel novero dei provvedimenti cautelari  c.d.  «a
strumentalita'  attenuata»,  non  vi  sarebbe  la  garanzia   di   un
successivo giudizio di merito nel quale  la  questione  possa  essere
portata all'attenzione della Corte costituzionale. 
    Una soluzione alla complessa problematica tra la celerita'  della
tutela e del rito  cautelare  e  la  stasi  del  procedimento  stesso
determinata dalla sospensione c.d. «necessaria» del giudizio «a  quo»
in cui viene sollevato l'incidente  di  legittimita'  costituzionale,
che questo Giudice ritiene di dover fare propria, trova origine nella
giurisprudenza amministrava. Si tratta della c.d. «tutela cautelare a
tempo», in cui cioe' la  misura  cautelare  viene  concessa,  in  via
provvisoria, condizionandone la conferma o la  revoca  all'esito  dei
giudizio   di   legittimita'   costituzionale.   La    giurisprudenza
costituzionale  (cfr.  Corte  costituzionale   n.   172/2012;   Corte
costituzionale n. 274/2014) ha ribadito che l'esigenza di  assicurare
l'effettivita' della tutela d'urgenza consente al  Giudice  ordinario
l'adozione in via provvisoria  della  tutela  interinale  «nel  tempo
occorrente  per  la  definizione  del  giudizio  di  incidentale   di
costituzionalita' e con un contenuto  che  intanto,  limitatamente  a
questo lasso di tempo, schermi la  norma  indubbiata  nella  parte  e
nella misura in cui il giudice adito  abbia  espresso  dubbi  di  non
manifesta infondatezza della questione sollevata». 
    Questa  soluzione,  che  prevede  la  scomposizione  della   fase
cautelare in una fase interinale, nella quale il Giudice  concede  la
cautela fino  alla  decisione  della  Corte  costituzionale,  ed  una
seconda fase in cui il Giudice della  cautela  si  pronuncia  in  via
definitiva, tenendo conto delle risultanze del giudizio davanti  alla
Corte costituzionale, del giudizio costituzionale,  permette,  da  un
lato, di preservare  l'effettivita'  e  l'immediatezza  della  tutela
cautelare (articoli 24 e 111 Cost.; art. 6 C.E.D.U.)  e,  dall'altro,
di scongiurare una pronuncia di inammissibilita' della  questione  di
legittimita'   costituzionale   per   esaurimento   della   «potestas
iudicandi» del giudice rimettente. 
    Del resto una siffatta soluzione, oltre a rispondere ad  esigenze
costituzionali e sovranazionali di effettivita' della tutela, non  e'
neppure  sconosciuta  al  sistema  processualcivilistico:  si  pensi,
infatti, al meccanismo di cui all'art. 669-sexies, comma 2, codice di
procedura civile, laddove si prevede che proprio in  caso  di  tutela
cautelare,  quando  la  convocazione   della   controparte   potrebbe
pregiudicare l'attuazione del provvedimento, il Giudice provvede  con
decreto motivato «inaudita altera parte» (prima fase),  fissando  con
il medesimo decreto l'udienza di comparizione delle parti  davanti  a
se', udienza in  cui  provvedera'  poi  a  confermare,  modificare  o
revocare  il  provvedimento   cautelare   emanato   in   assenza   di
contraddittorio (seconda fase). 
    La compatibilita' tra tutela cautelare e giudizio di legittimita'
costituzionale, nei termini anzidetti, ha superato  il  vaglio  della
stessa  Corte  costituzionale,  la  quale  ha  ritenuto   ammissibili
questioni di legittimita' costituzionale sollevate in via incidentale
nell'ambito di giudizi cautelari, sul presupposto che la  tutela  sia
stata concessa in  via  provvisoria  proprio  in  ragione  della  non
manifesta infondatezza della questione. In questo  senso  il  Giudice
delle leggi, con l'ordinanza n. 25 del 2006 ha  stabilito  che  «deve
respingersi l'eccezione di inammissibilita' della questione sollevata
dall'Avvocatura generale dello  Stato  sul  presupposto  che,  avendo
emesso il provvedimento cautelare richiestogli con l'appello proposto
avverso l'ordinanza di diniego del TAR, il Consiglio di Stato avrebbe
esaurito la potestas judicandi, quale  ad  esso  compete  nella  sede
cautelare; che questa Corte ha piu' volte  statuito  che  il  giudice
amministrativo  ben  puo'   sollevare   questione   di   legittimita'
costituzionale in sede  cautelare,  sia  quando  non  provveda  sulla
domanda cautelare, sia quando conceda  la  relativa  misura,  purche'
tale concessione non  si  risolva,  per  le  ragioni  addotte  a  suo
fondamento, nel definitivo esaurimento del potere cautelare del quale
in quella sede il giudice amministrativo fruisce: con la  conseguenza
che la questione di legittimita' costituzionale  e'  inammissibile  -
oltre  che,  ovviamente,  se  la  misura  e'   espressamente   negata
(ordinanza n. 82 del 2005) - quando essa sia concessa sulla  base  di
ragioni, quanto al  fumus  boni  juris,  che  prescindono  dalla  non
manifesta infondatezza della questione stessa (sentenza  n.  451  del
1993); che la potestas judicandi non puo' ritenersi  esaurita  quando
la concessione della misura cautelare e'  fondata,  quanto  al  fumus
boni juris, sulla  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale, dovendosi in  tal  caso  la  sospensione
dell'efficacia del  provvedimento  impugnato  ritenere  di  carattere
provvisorio e temporaneo fino alla  ripresa  del  giudizio  cautelare
dopo  l'incidente  di  legittimita'  costituzionale   (ex   plurimis,
sentenze n. 444 del 1990; n. 367 del 1991; numeri 24, 30  e  359  del
1995; n. 183 del 1997; n. 4 del 2000)». 
    Tanto   premesso,   il   principio    enunciato    dalla    Corte
costituzionale, sebbene relativo ad ipotesi  nelle  quali  la  tutela
cautelare era di tipo sospensivo, risulta  perfettamente  applicabile
anche ai casi di cautela di natura anticipatoria, come quella che  ci
occupa. 
    Infatti,  nel  caso  di  specie,  verrebbe  concessa  la   misura
cautelare mediante l'ordine provvisorio di  iscrivere  il  ricorrente
all'anagrafe della popolazione residente, con riserva  di  confermare
il provvedimento o di revocarlo, ordinando  quindi  la  cancellazione
dell'iscrizione,  all'esito  della  definizione   del   giudizio   di
legittimita' costituzionale. 
    Non si rinviene, del resto, alcun alcun ostacolo normativo a tale
soluzione, poiche' l'art. 700 codice di procedura civile  attribuisce
al Giudice della cautela  il  potere  di  adottare  «i  provvedimenti
d'urgenza che appaiono, secondo le circostanze piu' idonei», per  cui
proprio la natura «atipica» dei provvedimenti d'urgenza ex  art.  700
codice di procedura civile, il cui contenuto spetta di volta in volta
al Giudice  individuare  al  fine  di  assicurare  che  la  posizione
giuridica soggettiva  non  venga  pregiudicata  dal  pericolo  di  un
pregiudizio imminente ed irreparabile permette, di fatto, di adottare
un provvedimento cautelare «provvisorio». 
    La concessione del provvedimento anticipatorio, inoltre,  per  la
natura dell'iscrizione all'anagrafe della popolazione residente,  non
determinerebbe effetti irreversibili - come tali suscettibili di  una
modifica successiva  -,  ma  garantirebbe  l'iscrizione  almeno  fino
all'esito del giudizio di legittimita'  costituzionale,  momento  nel
quale  si  stabilira'  se  confermare  definitivamente  la  misura  o
disporne la cancellazione. 
    In   applicazione   del   principio    avallato    dalla    Corte
costituzionale, pertanto, la questione di legittimita' costituzionale
resterebbe comunque ammissibile, poiche' la misura cautelare verrebbe
provvisoriamente concessa proprio sul presupposto  esclusivo  secondo
cui  si  ritiene  non  manifestamente  infondata  la   questione   di
legittimita' costituzionale. 
    Va rilevato, infine, che l'eventuale esclusione della c.d. tutela
cautelare a tempo per le misure  cautelari  di  natura  anticipatoria
determinerebbe un  irragionevole  discrimina  rispetto  a  quelle  di
natura sospensiva, che non si giustificata alla  luce  delle  ragioni
richiamate. 
    Si evidenzia, tra l'altro, che la Corte di giustizia  dell'Unione
europea, con pronunce risalenti, si e' pronunciata in modo favorevole
rispetto all'analoga ipotesi della possibilita'  per  i  giudici  che
sollevano  rinvio  pregiudiziale   di   adottare   misure   cautelari
provvisorie durante il tempo necessario alla pronuncia  della  Corte,
evidenziando come tale possibilita' fosse  da  estendere  anche  alle
misure di  natura  anticipatoria  (cfr.  C.G.U.E.  9  settembre  1995
C-465/93). 
    Orbene, anche considerata l'evidente affinita' tra il  rinvio  in
sede di incidente  di  illegittimita'  costituzionale  ed  il  rinvio
pregiudiziale  alla  Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea   per
l'interpretazione e  l'applicazione  delle  norme  unionali,  non  si
ravvisano elementi tali da giustificare un diverso trattamento  delle
due ipotesi, anche sotto il profilo della possibilita' per il Giudice
«a quo»,  rimettente,  di  somministrare  al  ricorrente  una  tutela
provvisoria. 
    Occorre premettere che l'art. 23, comma 2, della legge n. 87  del
1953, al comma secondo consente al Giudice di sollevare d'ufficio  la
questione di legittimita' costituzionale delle norme che e'  chiamato
ad applicare. 
    «La non manifesta infondatezza» della  questione  rappresenta  un
filtro, un momento di controllo diretto ad evitare inutili rimessioni
alla Corte costituzionale ed implica per il Giudice «a  quo»  che  la
questione debba essere sollevata  ogni  qualvolta  non  si  presenti,
cosi' come dedotta dalle parti, palesemente infondata. 
    Nel caso  del  rilievo  «ex  officio»  il  requisito  della  «non
manifesta   infondatezza»   si   risolve   nell'impossibilita'    per
l'interprete  di  dare  alla  norma  sospettata   di   illegittimita'
costituzionale un'interpretazione compatibile con la Costituzione. 
    Tanto premesso, si ritiene sussistente anche il  requisito  della
«non manifesta infondatezza» della questione. 
    Ai sensi dell'art. 43 del Codice civile la residenza e' il  luogo
in cui la persona ha la dimora abituale, cioe' il  luogo  in  cui  il
soggetto vive la quotidianita' dei suoi  interessi  e  della  propria
famiglia. L'atto con il quale si stabilisce la residenza e'  un  atto
giuridico in senso stretto nel quale cioe' l'elemento soggettivo  non
rileva in se', ma si deve manifestare in un comportamento  che,  alla
stregua  della  valutazione   sociale,   corrisponde   ad   effettiva
abitazione abituale in un certo luogo («La residenza di  una  persona
e'  determinata  dalla  sua  abituale  e  volontaria  dimora  in   un
determinato luogo, cioe' dall'elemento obiettivo della permanenza  in
tale luogo e dall'elemento  soggettivo  dell'intenzione  di  abitarvi
stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo  svolgimento
delle normali relazioni sociali» - cosi' «ex multis» Cassazione civ.,
n. 1738/1986). 
    L'iscrizione nel pubblico registro anagrafico tenuto presso  ogni
comune italiano ha, dunque, mero valore  pubblicitario  o  notiziale,
non costitutivo, in quanto e' noto che l'effettiva residenza  di  una
persona puo'  essere  accertata  con  ogni  mezzo,  anche  contro  le
risultanze anagrafiche. 
    L'iscrizione anagrafica pertanto ha mero  valore  ricognitivo  di
una  situazione  di  fatto,  che  esiste  a  prescindere  dalla   sua
manifestazione formale. La preclusione all'iscrizione,  pertanto,  si
risolve in un ostacolo ad ottenere la pubblicizzazione di  uno  stato
di fatto, che si pone quale imprescindibile presupposto di  esercizio
di una molteplicita' di diritti e di facolta',  sia  nell'ambito  del
settore pubblico, che nell'ambito del settore privato. 
    Se da una parte  l'iscrizione  anagrafica,  in  quanto  priva  di
valore  costitutivo  potrebbe  apparire  come  una  mera   formalita'
irrilevante, dall'altra, nel fondare la presunzione (sia pure  «iuris
tantum») di corrispondenza della realta' giuridica a quella effettiva
circa il luogo in cui un soggetto ha  la  sua  stabile  dimora,  essa
assurge a strumento di primaria importanza laddove, tanto nel settore
pubblico, quanto in quello privato, si consente di dare  prova  della
propria   residenza   proprio   attraverso   il   riferimento    alla
dichiarazione anagrafica. 
    La preclusione all'iscrizione, allora, assume carattere  ostativo
dapprima ed immediatamente alla  pubblicita'  di  una  situazione  di
fatto e, in via successiva ed indirettamente,  alla  possibilita'  di
fornirne la relativa  prova  ai  fini  dell'esercizio  di  diritti  e
facolta' o dell'accesso a servizi pubblici o privati. 
    La  giurisprudenza  ha,  infatti,  chiarito  che   lo   strumento
dell'anagrafe  «e'  predisposto  nell'interesse  sia  della  pubblica
amministrazione, sia dei singoli  individui.  Sussiste,  invero,  non
soltanto  l'interesse  dell'amministrazione  ad  avere  una  relativa
certezza circa la composizione ed i movimenti della popolazione (...)
ma anche  l'interesse  dei  privati  ad  ottenere  le  certificazioni
anagrafiche ad essi necessarie per l'esercizio dei diritti  civili  e
politici e, in generale, per provare  la  residenza  e  lo  stato  di
famiglia» (Cass. civ., n. 449/2000). 
    Tanto premesso, si rammenta  che  la  preclusione  all'iscrizione
anagrafica e' stata  giustificata  nella  Relazione  illustrativa  al
decreto-legge n. 113/2018 (c.d. «Decreto  Sicurezza»)  in  base  alla
precarieta' del soggiorno del migrante richiedente  asilo  e  con  la
necessita'  di  definire  in  via  prioritaria  la   sua   condizione
giuridica. Sulla base di questa argomentazione il Tribunale di Trento
ha escluso profili  di  illegittimita'  costituzionale  della  norma,
richiamando la diversa condizione dello straniero richiedente asilo. 
    A ben vedere, pero', la posizione dello straniero in possesso  di
un permesso di soggiorno quale richiedente asilo, non  giustifica  un
siffatto  trattamento  normativo.  Il   soggiorno   dello   straniero
richiedente asilo, legittimato dal rilascio del relativo permesso, e'
pacificamente non di breve durata.  I  tempi  di  accertamento  delle
condizioni che costituiscono il presupposto del riconoscimento  della
protezione internazionale che includono il procedimento dinanzi  alle
Commissioni  territoriali,   l'eventuale   impugnativa   dinanzi   al
Tribunale e poi innanzi alla Corte di cassazione  sono,  infatti,  di
gran lunga superiori rispetto al tempo minimo  necessario  per  poter
definire il luogo in cui lo straniero ha fissato  la  propria  dimora
come abituale. Tra i parametri di legge che si possono utilizzare  al
fine di riconoscere l'abitualita' di una dimora,  vi  e'  sicuramente
quello indicato dall'art. 6 del decreto legislativo n. 286/1998,  che
fissa a tal fine il termine di tre mesi. 
    Pertanto, se e' innegabile  che  la  condizione  del  richiedente
asilo e' connotata da precarieta', e' altrettanto innegabile  che  il
suo soggiorno si protrae legittimamente sul territorio  italiano  per
un tempo che di regola supera l'anno, tempo in cui viene impedita  la
pubblicizzazione e la prova di una residenza  che  pero',  di  fatto,
viene acquisita. 
    E' noto che  al  legislatore  e'  consentito  dettare  norme  che
regolino l'ingresso e la permanenza dei cittadini extracomunitari  in
Italia, purche' non palesemente irragionevoli e non contrastanti  con
gli obblighi internazionali assunti dallo Stato italiano. Sul  punto,
la Corte costituzionale ha piu' volte ribadito il  principio  secondo
cui il  legislatore  puo'  subordinare  l'erogazione  di  determinate
prestazioni alla circostanza che lo straniero sia soggiornante con un
titolo  non  episodico  e   non   di   breve   durata   (cfr.   Corte
costituzionale, n. 306/2008). 
    Nel caso in  esame,  il  legislatore  sembra  aver  riservato  un
trattamento  deteriore  in  riferimento  ad  uno  straniero,   quello
richiedente asilo, legalmente soggiornante ma con titolo che  non  e'
ne' episodico, ne' di breve durata. 
    I dubbi di legittimita' costituzionale  dell'art.  13,  comma  1,
lettera a) n. 2) del decreto-legge n. 113/2018 laddove ha  introdotto
il comma 1-bis  dell'art.  4  del  decreto  legislativo  n.  142/2015
appaiono quindi  non  manifestamente  infondati  con  riferimento  ai
seguenti parametri costituzionali. 
    Il primo parametro rispetto al quale si ritiene fondato il dubbio
di legittimita' e' rappresentato dall'art. 2 della Costituzione. 
    L'impossibilita' per lo straniero richiedente asilo  di  ottenere
la certificazione anagrafica  in  ordine  alla  sua  dimora  abituale
comporta, per le ragioni enunciate,  una  condizione  di  «deminutio»
generale della sua persona, la quale si vede impossibilitata  a  dare
prova di una condizione di fatto esistente (la dimora abituale). Tale
limite si traduce a cascata in una preclusione  all'accesso  a  tutti
quei diritti, facolta' e servizi per i quali  l'ordinamento  richiede
quale requisito costitutivo la prova  della  residenza  (tra  cui  il
diritto ad accedere alle misure di politica attiva del lavoro ex art.
11, comma 1, lettera c)  del  decreto  legislativo  n.  150/2015,  il
diritto di poter chiedere ed ottenere un numero di partita I.V.A.  ex
art. 35, comma 2, decreto legislativo  n.  633/1972,  il  diritto  di
ottenere la determinazione del valore I.S.E.E. necessario per  potere
accedere alle prestazioni sociali agevolate ex  art.  1,  comma  125,
legge n.  104/1990,  il  diritto  di  ottenere,  decorsi  dieci  anni
dall'iscrizione nel registro dell'anagrafe di un comune italiano,  la
cittadinanza italiana ex art.  9,  comma  l,  legge  n.  91/1992,  il
diritto ad ottenere il rilascio  della  patente  di  guida  ai  sensi
dell'art. 118-bis del decreto legislativo n. 285/1992, il diritto  di
accedere all'istruzione scolastica, il diritto all'ottenimento di una
concessione commerciale per il commercio ambulante  ed  all'esercizio
di  un  professione  ed  il  diritto  di  accedere  in   modo   pieno
all'assistenza sanitaria nazionale, poiche'  il  cittadino  privo  di
residenza puo' accedere solo al servizio di pronto soccorso), in  tal
modo frapponendo significativi ostacoli allo sviluppo della  persona,
sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge  la  sua
personalita'. 
    In secondo luogo, la  questione  di  legittimita'  costituzionale
appare non manifestamente infondata in  relazione  all'art.  3  della
Costituzione sotto molteplici profili. 
    L'art. 3 della Carta costituzionale appare  innanzitutto  violato
sul  versante  del  principio  di  ragionevolezza,   in   quanto   il
legislatore  con  la  norma  censurata,  al  solo  fine  di  impedire
l'iscrizione  anagrafica  ha  privato  il   permesso   di   soggiorno
rilasciato al richiedente asilo, documento deputato ad  attestare  la
regolarita' del soggiorno di uno straniero sul territorio, della  sua
ontologica natura, ovvero della sua attitudine a provare la legittima
permanenza sul territorio nazionale. 
    Orbene, e' noto che il canone  della  ragionevolezza  puo'  dirsi
rispettato solo laddove esista una «causa  normativa»  che  legittimi
una differenziazione  che,  nel  caso  di  specie,  non  puo'  essere
ravvisata  nella  «precarieta'  della  condizione   giuridica   dello
straniero»  richiedente  asilo,  in  quanto  tale   precarieta'   non
corrisponde, per tutte le ragioni innanzi esposte, ad un soggiorno di
breve durata. 
    La   soluzione   adottata   dal   legislatore    appare    quindi
sproporzionata rispetto al fine avuto di mira: il legislatore avrebbe
piuttosto dovuto piuttosto individuare puntualmente i  diritti  ed  i
servizi rispetto ai quali il richiedente asilo non puo' accedere fino
alla definizione del procedimento volto  ad  ottenere  la  protezione
internazionale, ma non escludere radicalmente ed  indiscriminatamente
nei suoi confronti ogni diritto e facolta' -  in  ambito  pubblico  e
privato - che si riconnette al possesso della  residenza  anagrafica,
di fatto equiparando il soggiorno dello straniero richiedente asilo a
quello di uno straniero «irregolare». 
    L'intervento  sproporzionato  rispetto  al  fine  perseguito   e'
rivelato  da  una  contraddizione  in  cui  e'   caduto   lo   stesso
legislatore, palesando un ulteriore profilo di  irragionevolezza.  Da
un lato infatti, il  legislatore  ha  previsto  che  il  permesso  di
soggiorno  per  richiesta  asilo  consente  di   svolgere   attivita'
lavorativa (art. 22 decreto legislativo n. 142/2015 in base al  quale
«Il permesso di soggiorno per  richiesta  asilo  di  cui  all'art.  4
consente di svolgere attivita' lavorativa, trascorsi sessanta  giorni
dalla presentazione della domanda, se il procedimento di esame  della
domanda non e' concluso ed il ritardo non puo' essere  attribuita  al
richiedente») - riconoscendo quindi l'importanza di tale profilo  non
solo ai fini del sostentamento dello  straniero,  ma  anche  ai  fini
della sua integrazione nel  tessuto  sociale  -  dall'altro,  con  la
preclusione all'iscrizione all'anagrafe della popolazione  residente,
ha impedito al titolare di permesso di soggiorno di interloquire  con
l'ente  deputato  alla  gestione  ed  alla   ricerca   di   occasioni
lavorative. La mancata  iscrizione  all'anagrafe,  infatti,  preclude
l'accesso alle politiche  attive  del  lavoro  di  cui  all'art.  11,
decreto legislativo n. 150/2015,  politiche  riservate  per  espressa
previsione di legge ai residenti sul territorio (art.  11,  comma  3,
lettera c decreto  legislativo  n.  150/2011),  cosi'  come  preclude
l'inserimento del titolare  del  permesso  per  richiesta  asilo  nel
sistema informativo unitario delle politiche del lavoro  che  prevede
la formazione di una  scheda  anagrafica  dei  lavoratore  (art.  13,
decreto legislativo n. 150/2011). Allo stesso tempo, e'  preclusa  la
possibilita' di stipulare  contratti  di  lavoro  di  prestazione  di
lavoro occasionale, come disciplinati dal decreto-legge n. 50/2017  e
dal decreto-legge n.  87/2018,  in  quanto  ai  lavoratore  privo  di
residenza  e'  preclusa  la  registrazione  al   portale   telematica
dell'I.N.P.S. 
    In definitiva,  quindi,  il  diritto  al  lavoro,  che  e'  stato
riconosciuto anche ai titolari di permesso di soggiorno per richiesta
asilo risulta compromesso dagli ostacoli che la norma «sub iudice»  -
impedendo  in  modo  assoluto  allo   straniero   richiedente   asilo
l'acquisizione di una residenza formale - frappone tra il  lavoratore
e i canali di accesso alle occasioni lavorative, con evidenti profili
di irragionevolezza. 
    L'art. 3 della Carta costituzionale appare poi violato anche «sub
specie» di principio di uguaglianza e non discriminazione, nonche' di
diversita' di trattamento a fronte di situazioni eguali. 
    Infatti l'impossibilita' per lo straniero  richiedente  asilo  di
ottenere l'iscrizione anagrafica nel comune in cui pure ha, di fatto,
fissato la propria, si  risolve  in  un  trattamento  deteriore,  non
giustificato, rispetto al cittadino italiano, ma anche e  soprattutto
rispetto allo straniero regolarmente soggiornante in Italia con altro
titolo, al quale  l'ordinamento  consente  di  chiedere  ed  ottenere
l'iscrizione  nei  registri  dell'anagrafe  del  comune  ove  intende
fissare la propria dimora abituale. 
    La  «precarieta'»  della  condizione  giuridica  dello  straniero
richiedente asilo, infatti, non sembra in grado  di  giustificare  il
diversa trattamento normativa, dal momento che, per le  ragioni  gia'
individuate, tale precarieta' non equivale ad una  breve  durata  del
soggiorno - comunque legittimo sul territorio nazionale - e  pertanto
non inficia il presupposto posto a base della residenza, e  cioe'  la
dimora abituale nel suo elemento oggettivo e soggettivo. 
    La discriminazione realizzata mediante l'introduzione  del  comma
1-bis dell'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015 risulta  ancora
piu'   evidente   rispetto   agli   altri   stranieri    regolarmente
soggiornanti, cioe' muniti di permesso di soggiorno  di  altro  tipo.
Rispetto a quest'ultimi la disparita' di trattamento dello  straniero
richiedente asilo deteriore risulta  ancora  piu'  ingiustificata  ed
evidente, poiche' gli stranieri regolarmente soggiornanti  in  Italia
non incontrano limitazioni  di  sorta  nell'accesso  alle  iscrizioni
anagrafiche e possono ottenerle  con  il  decorso  del  tempo  minimo
necessario a considerare la loro dimora come abituale, anche a fronte
di un soggiorno di durata inferiore rispetto a quello dei richiedenti
asilo. 
    Ebbene,  se  e'  certo  che  la  «precarieta'»  -   intesa   come
provvisorieta' -  che  caratterizza  la  condizione  giuridica  dello
straniero  richiedente  asilo  costituisce  senz'altro  un   elemento
discretivo rispetto alla condizione dei cittadini  italiani  o  degli
stranieri titolari di un permesso di soggiorno di altro tipo,  ragion
per cui puo'  fondare  un  trattamento  normativo  differente  tra  i
soggetti sopra richiamati, essa pero' puo' avere  incidenza  solo  ed
esclusivamente  rispetto  a  quegli  aspetti  in  cui   la   suddetta
«precarieta'» risulta incompatibile con gli effetti di una situazione
giuridica da riconoscere. 
    Rispetto   al   diritto   a   vedersi    riconosciuta    mediante
certificazione anagrafica  la  propria  residenza  (cioe'  la  dimora
abituale), la precarieta' della condizione giuridica dello  straniero
richiedente asilo non produce alcun effetto e, comunque,  non  appare
in grado di giustificare secondo  il  canone  della  razionalita'  la
scelta legislativa di sancire l'impossibilita'  per  quest'ultimo  di
ottenere prova di una residenza che e' gia' effettivamente abituale e
che puo' protrarsi anche per anni. 
    Peraltro, a sostegno dell'introduzione del comma 1-bis  dell'art.
4 del decreto legislativo n.  142/2015  ad  opera  dell'art.  13  del
decreto-legge n. 113/2018 non possono invocarsi neanche  esigenze  di
certezza delle risultanze anagrafiche, poiche' l'art 7, comma 3,  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989  -  laddove  pone
l'obbligo di rinnovare la  dichiarazione  di  dimora  abituale  entro
sessanta giorni dal rinnovo del permesso di soggiorno e  prevede  che
l'ufficiale  dell'anagrafe  aggiorna  la  scheda   anagrafica   dello
straniero - assicura un meccanismo di cancellazione  della  residenza
laddove il permesso di soggiorno non dovesse essere rinnovato. 
    Infine, dubbi di legittimita' costituzionale si avanzano anche in
riferimento  alla  violazione   dell'art.   117,   comma   1,   della
Costituzione in relazione  all'art.  2  del  Protocollo  n.  4  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali  (che  costituisce  norma  interposta  la  cui
violazione impone al Giudice «a quo» di  sollevare  la  questione  di
legittimita' costituzionale, cosi' Corte costituzionale nn.  348/2007
e 349/2007) in base  al  quale  «chiunque  si  trovi  legalmente  nel
territorio di uno Stato ha diritto alla liberta' di movimento e  alla
liberta' di  scelta  della  residenza  in  quel  territorio»  nonche'
all'art. 117, comma 1, della Costituzione in  relazione  all'art.  12
del Patto internazionale sui diritti civili e  politici  in  base  al
quale «Ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio  di  uno
Stato ha diritto alla liberta' di movimento e alla liberta' di scelta
della residenza in quel territorio». 
    Tali norme, dunque, impongono all'Italia, quale Stato membro  che
ha aderito alle suddette Convenzioni, di assicurare a «chiunque» e ad
«ogni individuo» che si trovi legalmente nel suo  territorio,  dunque
certamente anche allo straniero richiedente asilo,  il  diritto  alla
liberta' di scelta della propria residenza nel  territorio  italiano:
diritto  che,  con  ogni  evidenza,  viene  ad  essere  completamente
cancellato  per  effetto  della  novella  normativa   sospettata   di
illegittimita' costituzionale. 
    Ai sensi dell'art. 117,  comma  1,  della  Carta  costituzionale,
infatti, la potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato  (e  dalle
regioni)  «nel  rispetto  della  Costituzione,  nonche'  dei  vincoli
derivanti   dall'ordinamento    comunitario    e    dagli    obblighi
internazionali», ragion per cui l'eventuale violazione degli  impegni
assunti dallo Stato italiano a livello  sovranazionale  si  risolvono
non  solo  in  una  violazione  degli  accordi  assunti   sul   piano
internazionale, ma anche in una violazione  della  Costituzione  che,
come  tale,  puo'  comportare  la  declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale delle norme censurate. 
    Alla luce di quanto innanzi esposto, dunque, si ritiene rilevante
e non manifestamente infondata con riferimento gli articoli 2,  3,  e
117,  comma  1,  della  Costituzione  in  riferimento  ai   parametri
interposti dell'art. 2 del Protocollo addizionale della C.E.D.U. n. 4
ed all'art. 1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici,
la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 1-bis,
del decreto legislativo n. 142/2015 cosi' come  introdotto  dall'art.
13, comma 1,  lettera  a),  n.  2),  del  decreto-legge  n.  113/2018
convertito con legge n. 132/2018.